Cerca nel blog

lunedì 15 ottobre 2012

Holy Shit!

Il ritorno di The Walking Dead


Ebbene sì, lo confesso. Da tempo l'horror al cinema mi annoia, non mi sorprende, non mi fa più paura. In tv, invece, è tutto un altro paio di maniche. Intanto perché in America da sempre la tv via cavo (AMC, HBO, FX) è terreno di libertà e sperimentazione. Poi perché la struttura seriale permette di approfondire situazioni e personaggi, evitando il pressapochismo di un film dalla durata standard di 90 minuti.
Ed ecco che, passo dopo passo, inesorabili, i morti viventi, i demoni, i fantasmi – con l'eccezione dei vampiri che per me si fermano a Buffy - si riappropriano con violenza del nostro immaginario.
Non ho letto il comic book di riferimento e non avevo amato la prima serie di The Walking Dead. Nonostante i meravigliosi effetti speciali di un genio come Greg Nicotero e la presenza dietro le quinte di un altro grande come Frank Darabont, non mi sembrava ci fosse niente di nuovo, lo trovavo statico e i personaggi non mi erano rimasti particolarmente simpatici. Come mi sbagliavo! Ho adorato la seconda stagione col suo impianto western fino allo showdown finale, mi sono commossa nel rivedere sullo schermo Scott Wilson (Herschel), uno dei più grandi caratteristi del cinema americano (il delinquente de La lunga notte dell'ispettore Tibbs e A sangue freddo di Richard Brooks, il marito tradito e omicida di Myrtle ne Il Grande Gatsby di Jack Clayton) e ho, finalmente, capito.
Il senso del viaggio dei protagonisti di TWD sta in quello che siamo diventati: condannati a una marcia forzata per la sopravvivenza, costretti a convivere con estranei e a difenderci da gente che vuole strapparci la carne di dosso, strada facendo perdiamo un giorno dopo l'altro umanità e identità, e paghiamo a caro prezzo i momenti di pace e di stasi lacerandoci a vicenda. E' questo orrore di un mondo perduto, assediato, senza tregua, in cui ogni alba è l'ultima dell'umanità, quello che gli autori della serie esprimono alla perfezione, coniugando al futuro il vecchio messaggio romeriano: gli zombi saremo noi.
La lotta non ha mai fine, diventa un lavoro a catena di dispensatori di (seconda) morte, tra viscere, sangue e pus, la disperazione segue alla speranza, le scelte si rivelano sbagliate, l'amore, la gravidanza e la morte si intrecciano in un inestricabile abbraccio, personaggi amati ci abbandonano così come nella vita se ne vanno le persone a noi più care, dietro a ogni angolo c'è un incontro a sorpresa. In un momento in cui cinema e letteratura (Manel Loureiro, Max Brooks, David Wellington e quel mercenario di Seth Grahame-Smith) ridanno nuova linfa al mito, The Walking Dead si staglia come l'esempio più puro e cristallino di uno dei pochi sottogeneri dell'horror in grado di dispensare ancora shock, indurci a riflessioni, tenerci col fiato sospeso. Il finale del primo episodio della terza stagione, così claustrofobico e terribile, preannuncia altri grandi momenti in una serie che resterà nella storia del genere, comunque vada a finire.

2 commenti:

Michelle Pate' ha detto...

A proposito di TWD. Mi e' piaciuto quello che ho letto. Hai espresso in parole quello che ho provato anch'io e in modo appassionato (e appassionante). Si sente che non scrivi solo 'con la testa'. La chiave di lettura che hai dato a TWD mi ha fatto riflettere. Bello.

Victor Xavier ha detto...

Condivido. Io invece ho molto amato la prima stagione mentre la seconda l'ho trovata un po' stagnante nel conflitto tra Rick e Shane, mentre i personaggi secondo me non hanno mostrato una seria evoluzione, a parte Rick, Shane, Glenn e Daryl (finora i migliori)A parte queste critiche piccole la serie la adoro, in quanto amante del genere e poi perchè ho anche letto il fumetto (per cui a livello di trama per sommi capi sto un po' avanti) per cui mi piace vedere le analogie e le devianze scelte dagli autori