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domenica 28 giugno 2009

Daniela Catelli intervista Pascal Laugier



La trascrizione integrale dell'intervista a Pascal Laugier:


Partiamo da una domanda molto semplice: da quale parte della tua immaginazione ti è venuta l’idea di fare un film sul martirio nel senso etimologico del termine?

Pascal Laugier
Beh, è frutto della parte sofferente della mia psicologia. Come si può intuire ho scritto questo film in un momento in cui non stavo molto bene. Avevo proprio voglia di fare un film dell’orrore triste, questo era quello che mi interessava davvero, e non tanto fare una pellicola che disgustasse il pubblico. Martyrs è per me soprattutto un film sulla malinconia e non tanto un film dell’orrore nel senso più comune del termine. E’ veramente un film sulla solitudine, su ciò che vuol dire stare male e su quanto ci si possa sentire soli quando si soffre. In particolare, è una pellicola sulla sofferenza, nel senso della solitudine a cui questa conduce.

E’ sicuramente un film che sconvolge il pubblico, provocando malessere, ma allo stesso tempo lo trovo anche molto onesto, il che è sempre più raro attualmente. E’ il tuo modo di accostarti al cinema dell’orrore, ossia a questo genere, essere onesto e sincero senza fare ricorso a stereotipi?

Pascal Laugier
Effettivamente questo è uno dei tranelli e dei problemi del cinema di genere, in generale e dell’horror in particolare, ovvero la tendenza ad adottare sempre le stesso immaginario e lo stesso modo di fare, con il rischio che questo diventi un serpente che si morde la coda. Io francamente non amo molto la corrente horror che si prende gioco del genere e che strizza l’occhio agli spettatori. Io ho sempre preso il genere sul serio. Sia che vedessi L’Esorcista o Rosemary’s Baby, quando vedevo tutti questi classici della mia infanzia, li ho sempre presi sul serio. Guardavo ad essi come ad un’espressione poetica o realistica, qualunque fosse il genere. Persino i film di Dario Argento li ho sempre osservati con serietà, non li ho mai considerati kitsch, buffi o poveri, penso che siano delle storie inquietanti, anzi trovo che la vita stessa sia in fondo molto più terrificante o strana di qualsiasi film dell’orrore. Con questo voglio dire che ho sempre cercato di mettere sincerità all’interno del genere, perché quando ero più giovane ho sempre guardato i film degli altri con sguardo molto sincero.

Dunque ti piacciono i film degli anni Settanta e non quelli degli anni Ottanta?

Pascal Laugier
Amo molto i primi, ma anche l’horror degli anni Ottanta ha prodotto tante cose interessanti. Tuttavia c’è stata una frattura molto simbolica che secondo me è rappresentata da Scream di Wes Craven. Questo film per me è il demonio, tanto più che all’epoca questi titoli avevano molto successo e ritengo che film come questi abbiano ucciso il genere o che almeno abbiano tentato di farlo. Non si credeva più alle storie raccontate. Infatti è stato molto complicato fare un film dell’orrore nei dieci anni seguenti la sua uscita, perché il pubblico non ci credeva più. Bisognava sbeffeggiare il genere e mostrare che non ci si faceva fregare dalle storie narrate. Poi c’è stata un’altra ondata, di cui Martyrs spero faccia parte, che ha ripreso a considerare seriamente l’horror, senza prendersene gioco.

Ho letto alcune recensioni che parlavano del tuo film accostandolo al sottogenere chiamato “torture porn”, dicendo che però che il tuo film è molto diverso da questo. Io sono d’accordo. Tu che ne pensi?

Pascal Laugier
Si, non ho problemi con la denominazione “torture porn” perché viene dalla stampa di genere, che leggo e apprezzo. E’ una parolina che non vuol dire niente, fine a se stessa. E’ un’espressione inventata per definire una piccola corrente di film in cui si presentava un ritorno a un horror molto fisico e brutale, come le serie Saw, Hostel o simili e Martyrs è stato prodotto anche grazie a queste pellicole, perché in fondo sono andati bene, sebbene io, modestamente, cerchi di proporre qualcosa di molto diverso. Io sono francese, quindi non vedo perché dovrei fare un filmetto americano alla francese, non ha proprio senso. Comunque io apprezzo molto pellicole come Saw o Hostel, in qualità di spettatore non mi creano problemi, ma penso che basti guardare il mio film per accorgersi che non c’entra nulla con questi. Il modo in cui io tratto la sofferenza e la tortura rappresenta esattamente l’opposto di Saw e Hostel, è ancora una volta una maniera molto psicologica, triste e malinconica di trattare il dolore. Credo che la grande differenza tra Martyrs e i titoli che sono stati citati risieda nel fatto che io mi schiero sempre da parte delle vittime e che il mio film non propone affatto la violenza come forma di divertimento. Questo è il mio vero scopo.

Dimmi una cosa. Nel film l’anziana signora fa una distinzione fra vittime e martiri, perché i martiri sono quasi degli angeli, hanno delle visioni. Secondo te, nella vita e nella società è la stessa cosa?

Pascal Laugier
Effettivamente, a partire dalla parola e dalla sua etimologia, che indica coloro che hanno delle capacità ulteriori, ho dedotto, mettendola in relazione alla lingua, che significa esattamente il contrario di vittima, perché quest’ultima è qualcuno che si chiude in se stesso, che non sopporta la violenza che gli viene fatta e la brutalità che subisce e ne viene accecato, mentre il martire trascende. Diciamo che è una sorta di metafora, un’allegoria per dire che tutti nella vita dovremmo reagire alla sofferenza che proviamo. Ed effettivamente ci sono delle persone che resistono, ossia usano il dolore che provano per trascenderlo e guadagnare una forza supplementare, mentre moltissime persone, la maggior parte a dire il vero, al contrario si rinchiudono completamente in se stesse, con l’effetto, a lungo andare, di ridurre la propria forza. Quindi direi che potremmo tranquillamente vederci una metafora della vita reale e quotidiana. Non parlo di torture vere e proprie, che certamente nella vita non subiamo, ma mi riferisco a tutti i dispiaceri, alle delusioni d’amore o al cruccio di compiacere i genitori. La vita, si sa, è fatta di sofferenze, e mi interessava fare un horror che fosse una metafora a questo riguardo.

Per realizzare un film del genere, più che attori occorrono complici. Sono rimasta molto colpita dal tuo cast. Mi puoi dire che tipo di rapporto hai instaurato con le tue attrici e come hai lavorato con loro in situazioni così estreme?


Pascal Laugier
Si, effettivamente i ruoli erano talmente difficili che con Myrlène e Morjana abbiamo lavorato già prima di cominciare a girare, due-tre mesi a Parigi, non per ripetere le battute perché non sono scene che possono essere ripetute, ma piuttosto per trovare un legame di fiducia fra noi. Era necessario che esaminassi innanzitutto un punto prima delle riprese vere e proprie, per esempio per fare in modo che loro accettassero di piangere davanti a me, di sfogarsi di fronte a me senza più temere il mio sguardo su di loro, anche perché è facile piangere di fronte alla macchina da presa per un’ora, ma è ben più difficile riuscire a farlo per tutta la giornata. Puntando tutto sul primo piano e considerando che c’erano ancora dieci o undici, se non dodici ore di riprese, per quattro, cinque o sei settimane, questo sì che era complicato, una specie di maratona, e per farlo bisogna lavorare adeguatamente prima delle riprese per fare in modo che loro capiscano come funziona e come possano far scattare questa cosa dentro di loro.

E’ già molto difficile fare un film, figuriamoci un film come questo, immagino. Come hai fatto per ottenere i finanziamenti?

Pascal Laugier
Effettivamente da un punto di vista industriale ed economico questo film è un vero miracolo. Infatti disponevo di un budget piuttosto modesto, circa 2 milioni, e abbiamo girato in Canada, chiaramente per motivi economici, visto che è un paese meno caro della Francia. E poi soprattutto ho avuto la grande fortuna di trovare dei produttori e dei distributori che sono rimasti colpiti dalla sceneggiatura, che era estremamente precisa su ciò che si vede sullo schermo e quello che non vi compare e che come il film, almeno per me, è molto sentimentale. Inoltre l’intento non era affatto quello di disgustare il pubblico. E come per miracolo ho avuto la fortuna di trovare gente che l’ha capito, che è stata toccata dal film. So che i distributori, che hanno messo la metà del budget per poterlo girare, sono stati davvero colpiti e commossi dalla sceneggiatura, hanno capito che si trattava di un horror molto particolare e hanno riposto una tale fiducia in me da darmi il denaro sufficiente per fare le riprese. Si tratta certamente di un prototipo, è un film orfano, che non ha lanciato una moda in Francia. Non credo che Martyrs avrà sequel, così come per altri titoli avverrà lo stesso, è un film sperimentale. Mi è stato riferito, non sono io che lo dico, che il film viene visto dalla maggior parte del pubblico come una pellicola d’autore, un modo molto personale di inquadrare il cinema dell’orrore.

Nonostante il basso budget il film ha degli ottimi effetti speciali. Puoi raccontarmi qualcosa in proposito?

Pascal Laugier
Sì. La persona che si è occupata degli effetti speciali, Benoît Lestang, è morta alcuni mesi dopo la conclusione delle riprese. Era un amico, e per lui questo era un po’ il film della sua vita. Per Benoît, che era il responsabile degli effetti speciali di makeup più noto in Francia, Martyrs è stato una sorta di consacrazione, perché vi erano tutto un insieme di effetti che lui non aveva mai realizzato, ha fatto delle creature, insomma una serie di effetti molto diversi nel film. Ci tengo a dire che lui mi ha dato tutto, ha lavorato tutti i giorni per mesi e mesi per fornire tutto quello che vedete sullo schermo con un budget decisamente ridotto. Inoltre, insieme avevamo immaginato un modo tutto particolare per realizzare gli effetti speciali di questo film, volevamo che fossero chirurgicamente realisti. La vita reale, che è comunque malata, torturata e sofferta, è già spettacolare. Non avevamo bisogno di esagerare col mostruoso, del tipo effetti speciali all’americana, ma volevamo qualcosa di molto clinico che mostrasse il corpo umano sotto un profilo realistico. E’ una questione che mi interessava molto perché il corpo, soprattutto nel cinema francese, è stato sempre ignorato, si tratta sempre di dialoghi, cose veramente psicologiche, di cervelli senza corpo e mi interessava molto fornire una nuova visione a questo discorso, mostrare cosa vuol dire nella realtà ricevere dei pugni sul viso per mesi interi e cosa possiamo ricavarne.

Nel film ci sono dei personaggi che mi hanno colpito molto, ad esempio la vecchia signora. Come hai scelto l’attrice? Si trattava di una donna fin dall’inizio?

Pascal Laugier
Si, fin dall’inizio. Quando ho scritto la sceneggiatura sono stato molto attento al materiale che manipolavo, che era molto pericoloso, poiché il film poteva facilmente cadere in qualcosa di ideologicamente molto dubbio, tant’è che alla sua uscita ci sono state delle persone che non l’hanno tollerato dal punto di vista filosofico, accusandomi di essere un fascista e un misogino, di non amare le donne, tutta una serie di stronzate che ha sentito per anni anche Dario Argento, in base alle quali uccidere una donna in quel modo sullo schermo indica un atteggiamento misogino. Secondo me chi parla così è qualcuno che non capirà mai veramente cos’è il cinema fantastico. Penso inoltre che se c’è un film dalla parte delle donne sia proprio il mio, che le sostiene sempre, soprattutto quando soffrono. E in virtù di queste problematiche, quando scrivevo, per sfuggire a questa accusa di misoginia, mi sono detto che sarebbe stato molto interessante se fosse stata una donna a fare del male a un’altra. In questo modo volevo anche evidenziare un altro aspetto della misoginia, che consiste nel dire che le donne sono formidabili e gli uomini schifosi. Questa per me è una forma di misoginia all’inverso, è un modo di vedere uomini e donne. Per esempio nel contesto inglese Margaret Thatcher era il bene incarnato, un angelo, come quando si dice che se il mondo fosse governato dalle donne tutto andrebbe meglio. Io non ci credo affatto, per me sono solo stronzate, è un femminismo capovolto e trovo che sia privo di fondamento. Penso che ci sia del bene come del male sia negli uomini che nelle donne e trovo molto più sconvolgente e originale il fatto che sia una donna, e anziana, a torturarne una giovane.

E’ vero, e poi sembra una nonna…

Pascal Laugier
Si, esatto. Il mio film è costruito sugli archetipi del cinema fantastico, da cui parto sempre per poi trasformarli in qualcosa di fresco, nuovo e sorprendente, ma alla base c’è comunque l’archetipo della vecchia strega. Ecco, questo è il mio stile…

Parlami della reazione della stampa francese e soprattutto del pubblico al tuo film. Lo hai visto insieme al pubblico? Qualcuno è uscito sconvolto?

Pascal Laugier
Sì, quello che è stato sorprendente e per me anche positivo è il fatto che il film abbia creato una netta divisione fra la parte di pubblico che l’ha davvero apprezzato e quella che l’ha detestato, non c’è quasi una via di mezzo tra le due. E’ una pellicola che genera reazioni estremamente viscerali, radicali ed eccessive. Inoltre, è in grado di trasmettere una tale scarica di adrenalina e di energia negativa nelle persone da indurle, per reazione, a rigettarmela addosso, cosa che trovo assolutamente normale e legittima. Infatti, io accetto ogni tipo di reazione. Ci sono state persone che sono svenute in sala, altre che sono dovute uscire perché non sopportavano più la visione del film, qualcuno usciva in lacrime e altri mi volevano spaccare la faccia. Secondo me, quando si fa un film del terrore e si ha questo genere di reazioni è un po’ come quando si realizza un film comico e il pubblico ride molto, è lo stesso tipo di soddisfazione, ossia l’ultima cosa che vuoi provocare con un film simile è l’indifferenza, che in questo caso non è avvenuta. Sono stato difeso dalla stampa tradizionale, ma anche attaccato. E’ il tipo di film che ti obbliga a prendere una posizione netta quando lo vedi: non puoi guardarlo senza farti un’opinione. E’ un film che gioca sui limiti di ogni spettatore: c’è quello che ama i film dell’orrore ma non ha apprezzato il film, e chi di solito ama generi diversi ma ha gradito il mio. Non ci sono regole, è una questione molto individuale.

In effetti è un film che personalmente ho sofferto durante la visione, ma che ti resta addosso e ti fa pensare anche a distanza di giorni. Quando pensi a un film e lo crei, ce l’hai già in testa scena per scena visivamente o si tratta di un processo diverso? Avevi già le immagini di Martyrs in mente?

Pascal Laugier
Avevo fatto un primo film che era molto preparato, molto definito con gli storyboard, tutto disegnato, e sul set, al momento delle riprese, ho cercato di far rientrare la realtà nella preparazione, ma con Martyrs ho fatto esattamente il contrario. Non mi sono voluto limitare prima di girare. Avevo un’idea impressionista, sensitiva e istintiva del ritmo di ogni scena, di come girare il film sul piano dello stile e delle immagini e poi mi sono servito della realtà del set per dare sostanza alle riprese. Ho cercato di andare sul set con una mente aperta, cercando di vedere il film costruirsi sotto i miei occhi nel momento in cui giravo. Quindi è stato un processo totalmente opposto, ho imparato molto e desideravo farmi paura, ma temevo di essermi preparato troppo col primo film e che quindi qualcosa mi sfuggisse perché mi ero preparato eccessivamente. Mentre con Martyrs è stato l’inverso, se avevo qualche problema lasciavo perdere e risolvevo diversamente, non avevo più tempo e quindi passavo ad altro.

E adesso che farai? Hai già qualcosa in mente?

Pascal Laugier
Sì, ho tantissimi progetti. E’ vero che Martyrs è stata una sorpresa, ha fatto molto parlare di sé ed è uscito in molti Paesi. Ho avuto la possibilità di firmare diversi progetti americani, vedremo, non ho più vent’anni e non sono un adolescente, non mi faccio illusioni su Hollywood, che è un luogo che può fare molto male. Ma ho avuto l’opportunità di firmare diversi progetti molto interessanti e ora lavoro a 3-4 film contemporaneamente. Vedremo, è un’esperienza nuova, tutto qui.

Intervista di Daniela Catelli
Traduzione di Tania Clericuzio