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venerdì 30 novembre 2012




PARLIAMO UN POCO DI ME

Io, David Sedaris e il Kindle Sorpresa


A parte gli amici e i conoscenti che leggono regolarmente questo blog, immagino che la maggior parte di quelli che ci capitano per caso non mi abbia mai sentito nominare e sia troppo pigra o disinteressata per googlare il mio nome e trovare informazioni sulla sottoscritta (che non sta su Facebook perché è una maledetta snob, ma su Twitter ci passa le giornate). E cosa puoi aspettarti da gente che ci arriva cercando frasi come “bambino sfregiato con un bisturi”? Brrr. Siccome la gente che legge questo blog è assai pochina, diciamo che mi sento sufficientemente a mio agio, come succede tra amici di vecchia data, per mettermi in libertà e togliermi un po' di sassolini dalla scarpa.
Chi ero lo trovate QUA, grazie alla gentilezza di Enrico Zoi che mi mette in compagnie assai più illustri di me. Chi sono... non essendo mai stata riservata e non avendo niente da nascondere, basta chiedere e vi racconto tutto quello che vale la pena di sapere. Ad esempio, che in questo periodo sono molto - ma proprio molto - arrabbiata, annoiata e scontenta. A volte anche in modo irrazionale.
Sono troppe le cose che non mi piacciono: l'aria che si respira in questo paese, la gente che vedo in giro, il cinema che mi tocca recensire, i colleghi che tirano a campare perché ormai sanno di essere condannati, la scuola pubblica inadeguata, lo stato della cultura, la decadenza della città che tanto amavo e in cui ho scelto di vivere, i miei che invecchiano e me, che – a differenza di troppe donne e uomini senza qualità, capaci di vendersi per quello che non sono e di convincere gli altri delle proprie inesistenti doti - non trovo neanche un acquirente per quelle che so di avere. E siccome io non mi accontento mai di me stessa e di quello che faccio, odio chi si siede, chi si adagia, chi “tira via”, in qualsiasi campo, accontentandosi di dare il minimo sindacale, o magari solo incapace di superare la propria mediocrità. Vivo in un mondo in cui chi non sa pensa di sapere, e chi sa si rende conto di non sapere abbastanza. E a vincere sono sempre i primi.

Non mi piace neanche rimpiangere il passato: so, parafrasando Nanni Moretti, che “non torneranno più i festival e i lavori gratificanti di una volta”. So che devo essere orgogliosa di avere vissuto quei periodi di pura, perfetta e sconsiderata felicità, di aver avuto la fortuna di sedermi a tavola con William Friedkin e Christopher Lee e di aver sentito il primo raccontare con gusto dei divertenti aneddoti sui suoi film e il secondo fare imitazioni di colleghi e cantare arie d'opera con la sua profonda, splendida voce. So che devo essere felice per gli anni del Mystfest e per le amicizie che ci ho fatto, per aver lavorato al Noir in Festival con gente che stimavo e stimo e che mi ha insegnato molto, e per aver parlato, in interviste lunghissime e umanamente coinvolgenti, prima dei tempi lampo della tv, con attori e registi che hanno fatto la storia del cinema. Confesso che ho vissuto e così sia.
                              
Ma possibile che adesso sia tutto passato, perso per sempre, come lacrime nella pioggia? Forse sì ed è giusto che sia così. Magari in futuro pubblicherò qua alcune di quelle interviste, di quei ricordi e di quelle storie. Quando uno, nella vita privata e nel lavoro, per un certo periodo di tempo non può usare il cervello al massimo, questo si atrofizza, è fatale. Ma io devo dargli aria ogni tanto, perché in fondo è un bel cervello e ci sono affezionata, anche se mi ha sempre complicato la vita.

Ricordate la lista delle cose per cui vale la pena vivere, stilata da un Woody Allen depresso in Manhattan? Io quelle liste ho iniziato a farle da adolescente (quando ancora Fabio Fazio giocava coi soldatini), solo che le chiamavo “amo” e “odio”. Ora quello che odio l'ho già detto, e per quelle che amo la lista è troppo lunga, però la cosa che preferisco su tutte è, da sempre, leggere. Di tutto, di continuo, in ogni momento libero dalle incombenze della vita quotidiana e dalle visioni di film e telefilm, a letto e sui mezzi, incrociando senza sosta i flussi (roba da fare invidia a Doc). Ultimamente, però, mi ero inceppata anche lì: in contemporanea pretendevo di leggere il ponderoso e bellissimo tomo di Oliver Stone sulla storia segreta degli Stati Uniti assieme a un saggio sull'arrivo della mafia italiana in America, a World War Z di Max Brooks (noia mortale) e a vari autori per me sconosciuti, scaricati “aumm aumm” sul Kindle Sorpresa, come lo chiama mia figlia. Ah, e nel mezzo ci avevo messo pure Gli sfiorati di Sandro Veronesi, trovato in redazione e prontamente restituito dopo averne letto una cinquantina di pagine (senza offesa).

Comunque, io adoro annusare, toccare e sfogliare i libri di carta e ho sempre guardato con disprezzo il loro misero surrogato, tra l'altro ultimo regalo, come quasi tutta la roba elettronica utile (e superflua) che ho in casa, del mio generoso ma poco romantico ex. Alla fine, però, per me condannata a passare ore infelici sulla metro B e su quelli che Gigi Proietti definiva i “lenti pubblici” romani, si è rivelato utile. Anche perché contiene già duemila libri, come quelli che mi hanno riempito la casa e sfondato le librerie, che lì dentro non pesano e non si vedono. Ne ho approfittato per buttarci tutto quello che avrei sempre voluto leggere ma non ho mai avuto voglia di comprare, oltre a libri che ho già di carta ma che voglio portare con me e autori a cui dare una seconda possibilità (ad esempio so che dovrei leggere di nuovo Chuck Palaniuk). Ah, tutto rigorosamente in inglese, senza il filtro della traduzione. E che cavolo, già che posso lo faccio, no?

E' così che, dopo essermi goduta su carta gli splendidi, cinematografici disegni di Fragile e Sarah, del mio amico Stefano Raffaele (vedere per credere QUA) e la raccolta di tutte le storie di Valentina Mela Verde della grandissima Grazia Nidasio, ho aperto a caso il kindle e - sorpresa ! - ho scoperto David Sedaris. Per qualcuno sarà anche la scoperta dell'acqua calda, ma è una di quelle cose che mi hanno riconciliato con la vita (che quest'anno, come già sapete, è stata davvero stronza con me).
I racconti di questo straordinario scrittore, che confonde ad arte autobiografia e realtà, narrando con senso del grottesco e naturalezza le storie imbarazzanti dei nonni greci, delle sorelle, dei genitori, dei propri tic adolescenziali e della propria omosessualità, sono un ritratto acutissimo, divertente e intelligente della società in cui viviamo.
Perché le storie migliori, quando sono personali, sono universali.
Ho iniziato dal suo primo lavoro, senza saperlo, il meraviglioso The Santaland Diaries (1992), in cui David racconta la sua esperienza di elfo ai celebri Magazzini Macy's nel periodo natalizio. E' assolutamente fantastico il panorama umano che passa come un fiume in piena nel villaggio di Babbo Natale, ricreato con mille magie all'interno del tempio del consumo, e che Sedaris descrive con impietoso senso dell'ironia. Così come sono incredibili i vari elfi e Santa Claus che partecipano alla recita, il cui fine è vendere le foto fatte ai  marmocchi (ricordi che arriveranno in casa degli acquirenti, in molti casi, nell'agosto dell'anno dopo, visto che all'epoca non esistevano ancora le foto digitali). Dice di più questo racconto sui guasti che il capitalismo e il consumismo hanno arrecato alla gente, di mille pesanti saggi di economia.

Dopo questa autentica perla, sono passata agli altri racconti, uno più bello dell'altro, tutti totalmente outrageous, come quelle serie inglesi che mi piacciono tanto. Come succede ad esempio in Next of Kin, dalla raccolta Naked, in cui Sedaris parla di un libro pornografico che racconta di incesti e sesso pedofilo, letto da lui e dal resto della famiglia, dagli 8 anni in su. Anche da questo capitolo scabroso del suo Lessico Famigliare, l'autore riesce a trarre una storia a modo suo pura, spassosa e credibile. Sedaris è stato anche molto attento ad alimentare il suo mito. Quando Wayne Wang acquistò i diritti cinematografici e trasse una sceneggiatura dalla sua raccolta Me Talk Pretty One Day (in italiano Me parlare bello un giorno, visto l'altro giorno su una bancarella a 3 euro), David ci ripensò e gli chiese di non farne di niente, perché preoccupato di come la sua famiglia sarebbe apparsa sullo schermo. Fu un peccato ma dà da pensare, no? L'unico problema nel leggere uno come Sedaris è che ci si ritrova, come raramente accade (a me è accaduto con i Tales of The City di Armistead Maupin e con Il tradimento di Rita Hayworth di Manuel Puig, vero e proprio libro test: dovevo rendermi conto che il mio ex non era l'uomo giusto per me quando mi disse che non riusciva a capirlo), a ridere d'un tratto ad alta voce, dimentichi di dove ci si trova. Ma chi se ne frega, aggiungo. Ridere allenta la tensione e riscalda il cuore, e dal momento che Woody Allen è "morto" e neanch'io mi sento tanto bene, ben vengano queste rare e preziose occasioni di abbandonarsi al piacere puro dell'intelligenza e dell'ironia. Mi sa che non è un caso che David Sedaris, come i due scrittori succitati, sia gay. Solo chi appartiene a qualche minoranza sa descrivere tanto bene i propri difetti e l'imbecillità dei più. Mi piace pensare che sarà una risata come queste, irrefrenabile e di pancia, che un giorno seppellirà tutti gli ipocriti, i farisei, i benpensanti e gli idioti di questo mondo.

martedì 27 novembre 2012

Vi piace il fantasy?
 

Confessioni di una Tolkieniana quasi pentita


Già vi sento: “ma qua non si doveva parlare solo di horror? Che c'entrano elfi, orchi e principesse? Che noia!”. Apettate un momento: so che in genere chi ama il fantasy non ama l'horror, e viceversa. Ma sono due argomenti che hanno qualcosa in comune, perché suscitano le reazioni più estreme, di segno opposto e contrario. E il successo di una serie come Il trono di spade mi ha spinto a riaffrontare l'argomento.
Nell'estate dei miei 20 anni o giù di lì, lessi Il signore degli Anelli nella vecchia edizione Rusconi. Lessi è inesatto: diciamo che per un mese dimenticai tutto quello che avevo intorno e mi immersi in un mondo di incredibile interesse e profondità. Da allora lessi tutto quello che Tolkien aveva lasciato di edito e di inedito, in qualche caso non capendoci un accidenti, data la frammentarietà del materiale rimasto. Rilessi due o tre volte in lingua originale The Lord Of The Rings, poi anche l'Edda di Snorri e tutto quello che aveva a che fare col mondo degli dei nordici a cui J. R.R. Tolkien si era ispirato. Quando a Roma fondarono la Società Tolkieniana ovviamente non potevo mancare. Andai all'incontro di presentazione, dove - erano altri tempi ed ero più sanamente incazzereccia - contestai il critico Gianfranco De Turris, che non faceva che ripetere che Tolkien l'aveva scoperto la destra (In Italia purtroppo è vero, ricordate i campi Hobbit? No? Fatevi una ricerca su google) e faceva parte della loro cultura. Siccome si sapeva benissimo che Tolkien odiava il nazismo e in America, guarda caso, era stato preso come simbolo della controcultura libertaria, a un certo punto intervenni e dissi la mia su questa appropriazione indebita dello scrittore. Ricordo che dopo aver parlato mi guardai intorno e vidi che ero l'unica donna in una stanza piena di baldi giovani aderenti di Forza Nuova o Ordine Nuovo o qualche cavolo di organizzazione di destra: pensai che l'avevo scampata bella e che quello non era il posto per me.

Nonostante questo incidente di percorso, l'amore per l'opera tolkieniana proseguì, e quando scoprii che Peter Jackson, uno dei miei registi preferiti, l'avrebbe finalmente trasposta sullo schermo in una trilogia (non parliamo della deludente versione animata di Ralph Bakshi), pensai che avevo un motivo in più per vivere. Amai i primi due film, e per il terzo ebbi la gioia di andare a Berlino a incontrare attori e regista in occasione dei junkets europei. Poi gli Oscar, l'entusiasmo per le extended editions ecc.Infine, pian piano, tutta questa passione mi è un po' passata.
Amavo talmente tanto il fantasy da avere iniziato a scrivere un romanzo di genere, una cosa penosa che ha letto solo qualche amica e che sono felice di non aver concluso. E avevo letto, sulla scia di quest'amore, altre saghe bellissime come quella di Taran di Prydain (quella del disneyano Taron e la pentola magica), oltre a tutte le varianti possibili e immaginabili del ciclo arturiano: i romanzi di Mary Stewart, quelli di Mary Zimmer Bradley, The Once and Future King di T.H. White, ecc. ecc.

Alla fine, lo confesso, il fantasy in quanto tale mi ha un po' stuccato, come mi capita regolarmente di fronte alle pietanze con troppi ingredienti. E – qui lo dico e qui lo nego - al momento non ho nessuna voglia di vedere la trilogia de Lo Hobbit. Temo che, a Peter Jackson, Tolkien stia facendo lo stesso effetto che a George Lucas ha fatto il mondo di Star Wars, che ha tra l'altro inventato lui stesso: quando si crede troppo ad un universo di fantasia, si finisce per gonfiarlo a dismisura, con il rischio che ti esploda in mano. Se da un libro di poco più di 300 pagine, dichiaratamente per ragazzi, si decide di trarre tre film, a mio avviso c'è qualcosa che non va.
Comunque, lasciando a Jackson il beneficio del dubbio (e se non lo lasciamo a lui a chi altri?), spinta dall'entusiasmo generale ho visto le due prime stagioni di Il trono di spade, e l'ho trovato un prodotto estremamente ben fatto, recitato benissimo e con alcune delle morti più realistiche e spettacolari mai viste sullo schermo. Per curiosità, ho deciso di leggere anche il romanzo di George R.R. Martin e mi sono stupita moltissimo nel vedere come, sul modello dei film da Harry Potter di J.K. Rowling, gli autori avessero trasposto sullo schermo fedelissimamente intere scene e dialoghi, pagina per pagina, tanto che mi sembrava quasi di leggere il libro tratto dalla serie, e non viceversa.

E poi, per quanto ci si sforzi di creare nuovi mondi, la Terra di Mezzo resta il modello ancora ineguagliato. Lo stesso Martin non sfugge alle citazioni e agli omaggi, creando ad esempio con Sam e Jon una coppia analoga a quella formata da Sam e Frodo. Certo c'è anche molto altro in questo caso, le figure femminili sono più presenti e importanti, e dunque vedrò sicuramente anche la terza serie. Ma quanto si può ricamare e variare sul tema del Medioevo prossimo venturo? Sotto le sfarzose vesti e i sanguinari complotti dei Lannister, batte lo stesso cuore nero che ha dato vita ai Borgia e a tutte le spietate famiglie della storia. Non so a voi, ma a me, dopo un po', il senso di déjà-vu lascia spazio alla noia.


sabato 24 novembre 2012


Riassunto delle puntate precedenti...


Life Sucks, Vampires suck



Eccomi, arrivo, arrivo! Mi scuso con i miei 200 lettori – ora posso dirlo – per la latitanza, ma è uno di quei periodi della vita in cui speri fortemente che i Maya non abbiano sbagliato i calcoli e che tra neanche un mese tutto lo schifo che ti circonda venga cancellato per sempre. Peccato per Sansone, ma i filistei valgono bene una fine del mondo!
In secondo luogo, non appartengo alla razza - i cui esponenti si diffondono con la stessa letale rapidità di un'epidemia di zombi – di coloro che scrivono solo perché hanno un pc, anche se non hanno nulla da dire. E non sono neanche così presuntuosa da pensare che al mondo manchi il mio punto di vista.

Però, se ho riacceso questo blog, non è certo stato solo per una meschina vendetta contro Stanislao e Gertrude (chi mi conosce sa a chi mi riferisco), ma soprattutto per parlare di cose belle, quelle che mi fanno sentire meglio. E ultimamente in giro non c'è granché, concedetemelo.

Ho visto Dracula 3D di Dario Argento, e incontrato il Maestro himself. Che dire? Mi aspettavo di peggio e l'ho apprezzato, come film muto: se non ci fossero stati gli effettacci digitali, la sceneggiatura barcollante e un Rutger Hauer che sembrava appena uscito dall'osteria senza ricordare dov'era e cosa stava facendo, in certi momenti avrei pensato di vedere un film di Mario Bava o della Hammer. Merito della fotografia di Luciano Tovoli, certo, ma anche della mano del regista, ancora riconoscibile. Sono stata contenta di rivederlo e di parlarci. E' lui che ha firmato all'epoca l'introduzione al mio libro su Friedkin, e come lui, di cui è molto amico e quasi coetaneo, sembra assai più giovane della sua età. In fondo, anche se ora non è ai suoi livelli, è consolante sapere che un tempo lo è stato, e che le cose che ha fatto restano e fanno ancora scomparire il nostro cinema attuale, di genere e non.
Al cinema per il resto calma piattissima, per quel che mi riguarda.


Tra le serie, invece, sono ancora in visibilio per gli ultimi sviluppi di American Horror Story, The Walking Dead, Boardwalk Empire e Fringe, e vorrei stringere in un abbraccio ideale gli autori di tutte e quattro. Vi voglio bene, voi che sapete sacrificare le vostre creature e rovesciare le aspettative, che riuscite a toccare, sotto le vesti effimere dell'entertainment, il cuore nero dell'umanità. Senza presunzione, senza pretendere di fare altro se non spettacolo, ma con l'incisività di un Dostoevskij dei nostri giorni.
Plaudo ai vostri personaggi da amare senza riserve, uniti in una sarabanda di creativa irriverenza, a rappresentazioni del Male capaci di farci credere nel Diavolo, alla fusione perfetta di realtà e immaginario che forma creature capaci di rispecchiare l'infinita contraddittorietà dell'essere umano: Sorella Jude, Sorella Mary Eunice, il dottor Arden e il dottor Thredson di American Horror Story, Daryl Dixon e il Governatore di The Walking Dead, Nucky Thompson e Gyp Rosetti di Boardwalk Empire, Peter e Walter Bishop, Etta e Olivia di Fringe. Sono grata per queste serie tv e i loro personaggi che raccontano e rappresentano, in tutte le loro possibili gradazioni,  morti dolorose, impressionanti mutilazioni, crudeli parti cesarei, follia e disperazione, atroci psicopatie, possessioni diaboliche, sadismo nazista, nobilità e spirito di sacrificio, avidità e terrore, senso del bene comune e individualismo assoluto.

E così, mentre in Italia la televisione, nella totale assenza di qualsiasi sperimentazione creativa, sprofonda sempre più nell'impietosa rappresentazione di se stessa e cessa di essere il salotto buono per diventare il tinello di gente coatta, dall'estero arrivano segnali di vita, di rabbia, di ribellione al sistema. Pagine di un manuale di sopravvivenza per l'Apocalisse prossima ventura, con una sola avvertenza: Not for the squeamish.

mercoledì 14 novembre 2012


Dov'eravamo rimasti?  

Quel che resta dell'horror



Pensavo al titolo di questo capitolo del mio Ciak si trema, un libro nato nel dolore e funestato da vari orrori, in gran parte indipendenti dalla mia volontà (anche se son tutti figli miei, non gli sono particolarmente affezionata e gli preferisco quello su Friedkin). Ma i titoli delle voci, che ho scelto io, mi piacciono. Quasi tutti. Siccome mi mancava un argomento che iniziasse con la lettera Q, e non tutti i film che amavo potevano essere ricondotti a un tema, mi venne l'utile idea di parafrasare Quel che resta del giorno,  il – per me – soporifero film di James Ivory, e buttarci dentro un po' di tutto, da Stephen King a Lovecraft e Topor.
Oggi torno spesso a chiedermi cosa resti di valido dell'horror cinematografico (sul versante letterario le cose vanno un po' meglio), ma non ho ancora ho trovato una risposta.
Quella che segue è una storia vera, accaduta nel nostro paese. Un convento del Sud ospita una decina di suore anziane, sui 60/70 anni. La Madre Superiora e la sua vice, insieme a un sacerdote, lo trasformano in una specie di lager, dove queste poverette vengono affamate, picchiate, violentate e filmate. Alla fine, una delle prigioniere riesce a denunciare il caso, e le vittime vengono trasferite al nord. Siccome, come nel caso dei preti pedofili, questi crimini non vengono giudicati dalla giurisdizione civile, ma da quella vaticana, il giudizio nel processo viene affidato a un cardinale che ha dei trascorsi da molestatore sugli autobus. Esaminate le prove, le foto, i filmini ecc, questo specchiato religioso dichiara che il fatto non sussiste (I diavoli di Ken Russell al contrario, in pratica). Le povere schiave col velo devono tornare al convento di appartenenza, la badessa e la sua vice vengono reintegrate e possono tornare a violentarle, e il prete coinvolto viene promosso ad un'alta carica.
E poi c'è un'altra storia, che almeno è finita sui giornali: due donne, madre e figlia, spariscono all'improvviso, ma il marito e padre delle due, direttore sanitario del carcere di Poggioreale, non ne denuncia la scomparsa, così come il genero, e nessuno, ma proprio nessuno, fa qualcosa in merito. Fino a che, 8 anni dopo, il cognato del medico presenta denuncia ufficiale, intervengono i carabinieri e scoprono, sotto un'intercapedine nella villetta dell'uomo, i resti delle due poverette. Siamo a Castel Volturno, non a New York. Dove due donne normali, con conoscenti, amici e colleghi, possono sparire nel nulla senza che nessuno dica o faccia niente.
E adesso torniamo alla finzione.Mi è capitato di vedere un horror straight to dvd, The Hills Run Red (Le colline sanguinano). Recitato da attori cani, lasciati a sé stessi da un regista inesistente, con un budget ridicolo speso tutto in frattaglie, è uno splatter con ambizioni metafilmiche, che parla di un giovane fan alla ricerca del leggendario film del titolo, da tempo scomparso. Rintracciata la figlia del regista (ahilui interpretato da un buon caratterista come William Sadler, a cui a quanto pare scadeva la rata del mutuo), il ragazzo ha il tempo di farla disintossicare dall'eroina e di resistere alle sue avances, prima di imbarcarsi con lei, la fidanzata e l'amico del cuore (che a sua insaputa trombano tra di loro: particolare irrilevante ai fini della storia), in un viaggio verso le location del film. Quando arrivano ad un capanno isolato tra i boschi, trovano il regista e il killer Babyface, con una maschera da bambola sul volto automutilato, e scoprono che Le colline sanguinano è in realtà uno snuff e che il regista vuole terminarlo, usandoli come involontari coprotagonisti. Da lì in poi prende il via un'orgia di bassa macelleria da torture porn fino a un finale, che non vi spoilero – che osa rifarsi a Il seme della follia, grande film di John Carpenter.
E' un esempio un po' estremo, certo, ma per me è una buona summa di quello che è diventato l'horror contemporaneo: tra questo e la realtà delle due storie precedenti, cosa vi fa più paura? Non potete certo darmi torto se American Horror Story – Asylum inizia a sembrarmi una storia vera, e se nel nuovo Medioevo che stiamo vivendo mi è sempre più difficile trovare una storia “all'altezza” dei suoi modelli reali.
Se dovessi – Dio me ne scampi – aggiornare per una terza edizione Ciak si trema, a parte rifare quella ridicola copertina (la storia qua, purtroppo con le immagini misteriosamente scomparse: http://ciaksitrema.blogspot.it/2007/10/storie-di-copertina-ultima-parte.html#links), cosa salverei di questi ultimi sei anni? Ci penso, e ve lo dico la prossima volta. Intanto, se avete qualche idea, fatemelo sapere.


giovedì 8 novembre 2012



CI SCUSIAMO PER L'INTERRUZIONE

La trasmissione sarà ripresa prima di quanto pensiate


Voglio rassicurare quanti tra i miei lettori si fossero preoccupati per la mia momentanea assenza: non sono stata risucchiata in un vortice spazio temporale durante i giorni di Lucca Comics & Games, non mi hanno rispedito di 30 anni nel passato per farmi giustiziare da Joseph “Maquantosaràsexy” Gordon-Levitt e non sono nemmeno entrata nel fantastico mondo di Frankenweenie per stringere la mano al professor Rzykruski-Price-Landau.

I giorni lucchesi mi hanno come al solito rimesso in contatto con la mia parte bambina. Non solo perché tra le Mura di questa bella e di regola soporifera città toscana sono nata e vissuta fino ai 30 anni, ma soprattutto perché l'immersione in questa coloratissima, fantasiosa e allegra festa dei fumetti, dei Cosplay, dei videogiochi e del cinema, che da sempre vi si celebra, è una cura di ringiovanimento assicurata.
Poi sono rientrata, ahimé, nella grigia realtà di Roma, una metropoli sempre più simile alla brutta e sporca New York degli anni Settanta, e mi è parso di tornare sulla Terra governata dagli Osservatori (Fringe, no? Ne abbiamo parlato). Tra malanni di stagione, bollette da pagare e l'odissea quotidiana dell'attraversamento della città coi mezzi pubblici, per andare a guadagnarmi il mio precarissimo pane, non ho ancora trovato il tempo di rimettermi a scrivere.
Ma torno presto, lo prometto: non ho nessuna intenzione di mollare quest'ancora di salvezza,  e di cose da dire ne ho ancora tante, se avrete la pazienza di ascoltarmi. Per ora vi lascio con un po' di foto di Lucca Comics&Games, un posto dove l'insolito e il bizzarro diventano, per qualche giorno, la norma, e dove tutti – come dovrebbe sempre essere - possono essere chi vogliono. Immagini con cui saluto anche l'America di Obama, un luogo in cui la speranza di essere migliori è oggi un sogno meno lontano e alla portata di tutti.