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domenica 10 febbraio 2013




SERIAL KILLER E KILLER DI SERIE

The Following



   Già nel lontano 1996, all'epoca della prima pubblicazione di Ciak si trema, dedicai un capitolo ai serial killer. Il cinema ne aveva infatti raccontato le crudeli gesta fin dai primordi con film d'autore come M il Mostro di Dusseldorf di Fritz Lang, l'exploitation le aveva poi esaltate negli anni Sessanta e Settanta, e nei Novanta c'era stata una vera e propria inflazione cinematografica della figura. Subito dopo Il silenzio degli innocenti, capolavoro e film spartiacque del filone, iniziarono a nascere cloni che si distaccavano sempre più dalla realtà, virando verso una romanticizzazione del personaggio, che diventava un vero e proprio superuomo, colto e bigger than life. Il libro di Thomas Harris nasceva dall'incontro con un vero e proprio eroe dei nostri tempi, il profiler dell'FBI John Douglas, allievo di Robert Ressler, pioniere nel campo degli studi sui serial killer. Ed è vero che tra gli omicidi seriali ce ne sono stati di intelligentissimi (è il caso ad esempio di Ted Bundy e Ed Kemper) ma la maggior parte degli psicopatici ha un'intelligenza media se non decisamente inferiore. Se sembrano e a volte risultano imprendibili, è perché conoscono le arti della dissimulazione, si confondono nella folla, non si mettono in mostra, tranne in casi di acuto narcisismo che li conduce quasi sempre alla cattura.

Il cinema, invece, dopo Hannibal Lecter, ha scelto di renderli invincibili e ha creato una vera e propria mitologia – l'eterno scontro tra Bene e Male, che spesso si confondono - attorno al confronto tra l'uomo che cerca di entrare nel cervello del predatore e mettersi nei panni delle sue vittime, per carpirne i segreti e catturarlo, e colui che dispensa morte e sofferenza per il proprio sadico piacere. Dopo un po', gli agganci anche minimi alla realtà sono andati a farsi benedire. E' così che sono nati Dexter e, ultimo della progenie, il Joe Carroll di The Following.


Non so a voi, ma i veri serial killer a me fanno paura, mentre quelli del cinema spesso mi fanno ridere. A meno che, ovviamente, non si tratti dell'Henry di John McNaughton col fantastico Michael Rooker, film liberamente ispirato alle gesta della coppia pluriomicida formata da Henry Lee Lucas e Ottis Toole (furono proprio le confessioni “esagerate” del primo negli anni Ottanta a dare il via alla mania per i sk). Per interpretare un sociopatico ci vuole un'aura di normalità dietro cui l'attore sia in grado di far trapelare, con la forza della sua arte, la follia più agghiacciante e assoluta. Se fu straordinario Anthony Hopkins nella sua prima incarnazione di Hannibal, ed era credibile e inquietante nella prima stagione Michael C. Hall nel ruolo di Dexter Morgan, non troviamo né carismatico né affascinante il Joe Carroll di James Purefoy, scelto probabilmente dalla produzione perché unico attore inglese ancora disponibile, tra i suoi impegnatissimi colleghi. Ma la colpa, poverino, non è neanche sua, così come non è colpa di Kevin Bacon se sembra uno stoccafisso (verrebbe quasi voglia di rispolverare la geniale definizione data da Stefano Benni di Warner Bentivegna nel televisivo Una tragedia americana: boccheggiante come una carpa, espressivo come un cocomero al buio). Il fatto è che Kevin Williamson passa ancora per genio dopo Dawson's Creek e i primi due Scream, che avevano in effetti almeno una levità di tocco che poteva dare respiro anche a materie oscure come queste. Ma quella di Williamson è una reputazione immeritata (l'avete visto il quarto Scream?!)  E' per questo che ha scelto di riprendere il filone serial-killer messianico-letterario-organizzato-pianificatore-sadico-vendicativo – che comprende anche Se7en - senza dimostrare un briciolo di consapevolezza del genere e d'ironia.
 Insomma, questa serie è troppo seria, se ci passate il calembour, e troppo monocorde. Passi l'idea della setta/famiglia (e anche il leader poco carismatico, segno di tempi in cui anche il Male ha un volto più banale), ma che ha fatto di male il povero Edgar Allan Poe - pretesto del disegno poetico-criminale di Carroll - per vedere il suo volto ridotto a un'orrenda maschera di gomma, indossata dai suoi scellerati discepoli? L'autore avrebbe dovuto tenere a mente la lezione del grande Vincent Price, che agli incubi di Poe ha dato vita nello splendido ciclo di film realizzati da Roger Corman, e che ha scatenato la sua vendetta macabra e divertente in L'abominevole dottor Phibes e Oscar insanguinato, usando le 7 piaghe d'Egitto e le opere di William Shakespeare. Senza colpevolizzare né la Bibbia né il Grande Bardo.
The Following si limita a punire i veri amanti del geniale scrittore e riesce nella quasi impossibile impresa di offendere perfino i veri serial-killer.Come ho detto prima, a me quelli veri fanno molta paura, e proprio perché li temo li rispetto. E se ci credo mi spavento. Ma, per quanto mi sia sforzata, al serial-killer di The Following, al suo diabolico piano contro il proprio doppio/rivale, ai suoi assistenti pisquani e all'uomo condannato a combatterlo, non riesco proprio a credere. E se l'Uomo Nero non fa paura, che gusto c'è a guardarlo?