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martedì 22 gennaio 2013



UOMINI E COCCODRILLI


Addio a Michael Winner, gourmet extraordinaire


C'è una premessa indispensabile a quanto scriverò stasera. Nella redazione di Coming Soon Television, dove, da oltre 12 anni, espleto le variegate funzioni che mi permettono di portare a casa la pagnotta, mi conoscono come “la donna dei coccodrilli”. Se non sono io ad accorgermene per prima, i miei colleghi mi guardano con l'espressione sorniona di chi sottintende – e a volte ci scherziamo pure su - “guarda che anche oggi ti tocca il Morto”. Ora, vorrei che fosse chiaro che non mi piace scrivere coccodrilli, o meglio: non mi piace farlo per artisti che non mi hanno mai detto niente, che non hanno toccato con la loro opera la mia vita, le mie esperienze giovanili o della maturità. Qualcuno mi ha detto che i miei necrologi piacciono perché sono scritti col cuore: ma questo mi è possibile solo per chi questo cuore ha fatto battere e questa passione suscitato. A volte si tratta di “brevi incontri” che mi hanno lasciato qualcosa, altre di amori lunghi una vita, e come si fa a non dirgli addio? Io non ne sono capace. Però, se il Morto non lo conosco bene o non mi sembra uno di famiglia, odio scrivere poche righe frettolose citando il meglio della sua filmografia, anche se a volte lo devo fare e lo faccio.

Ieri sera, prima di andare a letto dopo una giornata al solito frenetica, morta di sonno e assai rincoglionita, mi era sembrato di leggere su Twitter un tweet che diceva “Michael Winner RIP”, ma il mio cervello si è rifiutato di registrarlo. @MrMichaelWinner nel suo account su Twitter – oggi ancora attivo – si descriveva così: “sono un regista cinematografico, scrittore, produttore, smacchiatore di camicie di seta completamente pazzo, dal pessimo carattere, un esemplare profondamente ridicolo di umanità in deep shit” (non serve traduzione anche di questo, no?).

Stamani arrivo in redazione e un collega mi dice che purtroppo è proprio vero, perciò mi accingo a scriverne ma i Morti non aspettano, e un veloce necrologio era già stato pubblicato ieri sul sito mentre io ero impegnata in altre cose. E quindi nulla. Ma a me dispiaceva lasciarlo così, come il regista della serie de Il giustiziere della notte, perché su Twitter lo avevo, per così dire, “conosciuto” umanamente, ne avevo apprezzato il caustico senso dell'umorismo, scoprendo la persona dietro l'immagine di cattivo ragazzo che gli piaceva tanto dare di sé e che ne aveva fatto, come personaggio pubblico, un uomo detestato da gran parte degli inglesi e amato da una parte altrettanto consistente. Qualche volta gli avevo scritto e mi aveva anche risposto, sempre con cortesia, come quando gli avevo dato notizia che un amico italiano, Fabio Zanello, aveva curato un libro di saggi, il primo, dedicato al suo cinema. Ne era stato molto felice. Eccolo QUA

A proposito di libri, sulla mia copia usata ma come nuova di Unbelievable!, una delle autobiografie di Michael Winner, c'è un fumetto di suo pugno con dedica autografa a tale Margaret. Ma come, dico io, uno compra un libro, se lo fa dedicare per poi rivenderlo intonso? Sono strani questi britanni!

Definire Michael Winner solo come regista dei tre film di Il giustiziere della notte è riduttivo. Ha fatto anche l'horror SentinelImprovvisamente, un uomo nella notte (bella versione de Il giro di vite di Henry James interpretata dal suo grande amico Marlon Brando), una serie di pellicole con l'altro suo grande sodale e compatriota Oliver Reed, iniziata con The System nel 1964. Ha lavorato con Burt Lancaster, Sophia Loren, Roger Moore, Michael Caine, Robert Mitchum (nel bel Marlowe indaga), Ava Gardner

Nel 1972, con Chato, avviene l'incontro con un altro attore e uomo a lui carissimo, Charles Bronson. Di lui, e della moglie Jill Ireland, offre un vivido ritratto, così come degli altri attori, nelle pagine delle sue ricche e godibilissime autobiografie (Winner Takes All: A Life of Sorts, 2004, Unbelievable! My Life in Restaurants and Other Places, 2010, e Tales I Never Told, 2011). Con lui realizza appunto il suo film più famoso, nel 1974, e due sequel. Quando Il giustiziere della notte arrivò in Italia, io avevo 16 anni. Ricordo benissimo i dibattiti e le accuse feroci di fascismo che gli vennero rivolte. Erano anni così. 
Gli schieramenti erano netti e definiti e su tutto si discuteva (avevi voglia di urlare: "no, il dibattito no!"). E forse era meglio, visto che quando è arrivato Io vi troverò con Liam “Spaccaculi” Neeson (copyright Domenico Misciagna), nessuno ha speso una sola parola su un film che faceva sembrare il giustiziere di Bronson una versione particolarmente tenera del cacciatore di Biancaneve. Comunque sia, all'epoca non lo vidi, nonostante l'amore che nutrivo già per l'attore dalla faccia di pietra. L'ho rivisto di recente, trovandolo un action più che degno, quando ho “scoperto” l'uomo Michael Winner, che fino ad allora neanche sapevo che faccia avesse, e, come al solito, mi è venuta voglia di conoscerne l'opera omnia.

Ricordo la mia sorpresa nel sapere che tra i suoi connazionali era ormai praticamente più famoso per l'attività a cui si era dedicato quando aveva lasciato il cinema: quella di restaurant and food critic, prima con una rubrica sul Sunday Times, Winner's Dinners, poi con un reality show in cui stroncava senza pietà le cattive pietanze che alcuni concorrenti lo invitavano a mangiare a casa loro, offrendo però in cambio la sua leggendaria ospitalità e conquistandoli con la sua generosa personalità. Aveva pubblicato libri anche su questo argomento: più che un critico gastronomico preferiva definirsi un semplice amante del buon cibo, un dilettante senza pretese. Un altro tipo di fama l'aveva avuto come testimonial delle assicurazioni esure (“calm down, dear”) per cui si era anche vestito da fatina con tanto di ali.

Ieri @mrMichaelWinner è scomparso da questa terra, all'età di 77 anni, nella sua meravigliosa e antica dimora all'interno di Holland Park (che aveva di recente messo in vendita). Aveva al fianco la compagna Geraldine, conosciuta e amata all'inizio della sua carriera, tradita mille volte con donne sempre giovani e bellissime, e sempre ritrovata. Reduce dall'intossicazione alimentare da cui si era salvato a stento ma che gli ha divorato il fegato e l'ha pian piano portato alla morte, con lei si era fidanzato ufficialmente nel 2007 e sposato a Londra nel settembre del 2011. Testimone di nozze l'amico di una vita, sir Michael Caine, con la moglie Shakira. Tutte queste cose le aveva, con gioia, condivise su Twitter.
E' stato proprio il cibo che amava tanto a uccidere Michael Winner: le ostriche avariate che gli erano toccate in sorte alle Barbados e poi la passione per la steak tartare, mangiata troppe volte con un sistema immunitario già molto indebolito. Sembrava immortale, quest'uomo ricchissimo, conservatore ma illuminato, che aveva solo amici famosi e altolocati e che nei suoi Tweet parlava volentieri delle uscite con una delle sue auto - in genere la Rolls Royce - per andare a pranzo nei migliori ristoranti, e del suo cinema privato state-of-the-art in cui da sempre si faceva proiettare in pellicola i film che voleva vedere, quando non erano ancora usciti in sala.

A volte aggressivo, ma solo coi tanti imbecilli senza senso dell'umorismo che girano per la rete e che doveva periodicamente bloccare, era perfino diventato suo malgrado un paladino dei gay quando, durante un talk show in cui si discuteva di matrimonio tra persone dello stesso sesso, aveva elegantemente ed eloquentemente difeso due signore lesbiche sottolineandone l'estrema dignità, che faceva apparire il conduttore come lo stronzo che era. Aveva detto più o meno così. Le controversie lo divertivano, e quando negli anni Settanta partecipò a un dibattito in cui venne offeso pesantemente da una femminista, solo per aver osato dirigere un film misogino come Il giustiziere della notte, si limitò a ridere con gli occhi: non si sarebbe mai abbassato a rispondere a una cattiveria con una perfidia.
Ecco, non avevo intenzione di dedicare tutte queste parole e questo spazio a un uomo che non ho nemmeno mai incontrato e con cui, a ben vedere, non ho nulla in comune. Ma è anche questa una prova del suo fascino. Michael Winner mi piaceva perché era un signore nel vero senso della parola, innamorato della vita e delle cose belle, generoso senza fanfare e aperto nei confronti delle persone interessanti, di qualsiasi estrazione sociale. Un uomo d'altri tempi, che John Landis nel suo Ladri di cadaveri aveva fatto precipitare in carrozza giù per un precipizio, senza capire, nemmeno lui, perché c'era gente che dopo aver visto il film si complimentava per avergli fatto fare una fine del genere. Di certo Winner si era divertito come un matto, e, per quanto triste e dolorosa sia una morte (e la sua lo è stata, se aveva anche considerato di andare in una struttura che lo assistesse nel trapasso), ci piace ricordarlo con quella faccia da vecchio cattivo, mentre gli occhi ne tradiscono il buonumore. Il suo sembrava l'incontenibile sorriso di chi ha da tempo scoperto, ma non te lo dirà neanche se lo ammazzi, l'inafferrabile senso della vita.

mercoledì 16 gennaio 2013

CADAVERI CALDI

A Survivor's Tale

 


Salve, miei amabili lettori, e dico proprio a tutti, anche allo sparuto drappello che approda a queste sponde desolate digitando “porno gay serial blogspot” o similia, tutte cose in grado di allietare le notti sicuramente più delle mie futili riflessioni sul cinema e sull'immaginario horror. Sono ancora viva, reduce da una delle giornate più deliranti che mi sia capitato di vivere da abitante di Roma, grazie ad un acquazzone che ha come al solito reso un'impresa degna di essere scolpita nel marmo la seguente: uscire di casa e arrivare in tempo utile alla destinazione a pochi chilometri di distanza, vedere un film (in questo caso, in anteprima mondiale, Warm Bodies, e non iniziate a fare facce strane che ne parleremo dopo), intervistare il talent di turno (Nicholas Hoult, il bambino che ci ha straziato le orecchie in About a Boy ma anche il Beast degli X-Men e l'interprete della serie cult Skins e del film di Tom Ford A Single Man) e tornare a casa.
Tutto questo dopo una notte insonne da meteoropatia, visto che, a quanto ho sentito, sono stata solo una dei tantissimi abitanti di Roma colpiti da questo morbo improvviso, che mi ha obnubilato il cervello al punto da farmi tentare la creazione di spericolate sinapsi sintattiche in inglese, nello stesso modo in cui R, nel film, cerca di articolare le parole da zombie. Forse per via del suo allenamento, il buon Nicholas è riuscito comunque a capirmi, e mi ha concesso una lunga intervista che non pubblicherò qua, confondendo penso la mia confusione mentale per un lusinghiero tentativo di emulazione del suo lavoro da attore. Mi sento, davvero, una sopravvissuta, e visto che siamo solo a mercoledì, mi chiedo quando mai riuscirò a mettermi in pari con serie, letture e film. Forse mai. Forse, vista la strana epidemia di insonnia appena passata, è ora di cominciare a prepararsi sul serio, come fanno in America, per la Zombipocalypse o come cavolo la vogliamo chiamare.

Comunque, dicevamo, Warm Bodies, di cui non vi faccio qua una recensione perché la farò sul sito di Coming Soon Television quando il film arriverà nelle sale il 7 febbraio con un esercito di ben 400 copie: intanto c'è da dire che - anche se ne condivide i produttori - questo film non è affatto parente stretto di Twilight. Che questo sia un male o un bene lo decideranno i teenager a cui è principalmente rivolto, ma, questo ve lo posso anticipare, il film ha più livelli di lettura ed un'intelligenza e un'eleganza di confezione che non mi aspettavo da una storia del genere e che – credo proprio – siano principalmente merito del regista Jonathan Levine. Il libro l'ho qua e lo leggerò quanto prima, ma la mano del regista di 50/50 è inconfondibile. Ed è sicuramente sua l'idea del gradito omaggio a Zombi 2 (in Italia, Zombi all'estero) del grande Lucio Fulci, che ha mandato in solluchero tutti i fan e i nerd presenti (che si moltiplicano per partenogenosi ad ogni proiezione).

Suppongo che le battute facessero più ridere in inglese, ma questo Romeo e Giulietta tra zombi e umani non è assolutamente stupido, la coppia protagonista – Hoult e Teresa Palmer – fa scintille (chissà che Jennifer Lawrence non si sia ingelosita, vedendolo) e alcune idee ci sono piaciute molte. Altre meno, ma ci sembra che questo sia un teen-movie (ahimé, so che ora arriverete anche voi, cultori delle Lolite, fuorviati dalle sirene dei motori di ricerca) che non sottovaluta, per una volta, il suo pubblico di riferimento.

Nel periodo in cui non ci siamo sentiti, inoltre ho rivisto Frankenweenie e ho scritto QUESTO, ed è morto NAGISA OSHIMA. Ho scritto anche questo, anche se non è firmato, visto che è solo un piccolo e frettoloso coccodrillo, per ricordare un regista di cui ho adorato almeno due film: Furyo, meraviglioso, e Tabù-Gohatto, ancora sul tema dell'omosessualità, che nel 2000 vidi a Cannes, e di cui seguii, emozionata, la conferenza stampa. Perché, anche se i suoi film forse più famosi in Occidente, Ecco l'impero dei sensi e L'impero della passione, non sono tra i miei preferiti, e non sono una cultrice del cinema giapponese tout court, quelli che ho citato prima mi hanno davvero commosso e toccato. Oshima era un Maestro, il problema è che nessuno vuole più essere allievo, visto che proprio oggi un giovane critico si vantava – o così pareva - di non aver mai visto un suo film. Come se l'amore per la fantascienza e l'horror dovesse per forza escludere tutto il resto. Vabbé, non cominciamo con le prediche sennò non ne esco.

Non voglio chiudere in tristezza, però, perché sono contenta di essere sopravvissuta anche oggi e di essermi comunque divertita. Domani, se ho culo, tornerò umana come R in Warm Bodies, parlerò di nuovo un fluente inglese (magari ti faccio una sorpresa e ti telefono, Nicholas) e a Roma non pioverà né nevicherà e la giornata sarà perfino noiosa. Ah, ma dimenticavo la cosa più importante. Nel periodo in cui ero fuori radar, ho anche ricevuto una bellissima telefonata dal mio amico Egidio Eronico (che ha tra l'altro diretto Charlton Heston nella sua ultima grande performance in My Father, e scusate se è poco!). Non solo bellissima perché mi augurava un buon anno, ma soprattutto perché nelle sue parole ho avvertito l'assoluta urgenza di darmi un salutare calcio in culo. Lui sa di cosa parlo. Io volevo solo dirgli pubblicamente grazie. Davvero, ne avevo bisogno e prometto che non andrà sprecato. E adesso vediamo quanti nuovi “lettori” mi porteranno questi scabrosi argomenti.

sabato 5 gennaio 2013

 

 Buon 2013

Per arrivare là, dove nessun uomo è mai giunto prima


Ben ritrovati, spero abbiate passato delle feste serene, e che siate pronti, a differenza della sottoscritta, a prendere a calci in culo il nuovo anno.

Lasciando da parte i convenevoli e riprendendo le fila di questa specie di blog (dove non si parla di cucina, di politica e di calcio, cioé delle uniche cose che a quanto pare interessano gli italiani), poche cose mi divertono di più del vedere come i motori di ricerca rispondano alle richieste più strane del web, indirizzando sti poveretti sulle strade sbagliate del mio Ciak si trema. Così, dopo il "bambino sfregiato col bisturi", i "video porno di signore seguite da sc..." (Scavatore? Scippatore? Scrittore? Scopatore? Come vorrei poter leggere tutto!), "trema tutto e possibile che prende" e vari accenni anche lontani a cose di cui magari parlo davvero, c'è anche qualcuno che ci è arrivato con questa domanda: "Sasha Roiz è gay?" 
Ora, per chi non lo sapesse, cioè la maggioranza di quanti mi leggono, Sasha Roiz è l'attore canadese – molto sexy – che interpreta il Capitano Renard, misterioso esponente di una famiglia reale di Wesen, nella bella serie tv GRIMM. E se così fosse? E' vero che per gli etero sarebbe uno spreco, ma è anche molto probabile che nessuno di noi abbia occasione di verificarlo, e in ogni caso questo non diminuirebbe il suo fascino. Mi chiedo perché ci sia gente che presuppone che internet abbia TUTTE le risposte quando ha tutt'al più TUTTE le insinuazioni. Vabbé, comunque leggere questi dati mi diverte, e mi fa venir voglia di scrivere (ovviamente non di quello che interessa a queste persone). So che scrivere più spesso la parola porno mi porterebbe più lettori, e del resto sono convinta - e ho sempre detto - che il porno e l'horror sono due generi strettamente imparentati perché mettono in scena lo sfruttamento del corpo umano, la sua dissezione teoretica e pratica, e sono entrambi basati sulle pulsioni più elementari. Ma il primo non lo frequento da tempo e quando l'ho fatto mi ha in genere annoiato, mentre il secondo mi sfugge, da un po' di tempo a questa parte.

Sto meglio – mi sono sfogata e sfogarsi fa SEMPRE bene, specie se si ha ragione – e tra le mille cose che voglio leggere, vedere, scrivere e VIVERE in questo 2013, credo che il proposito numero 1 sia quello di studiare me stessa e i miei simili. Ho in mente un libro in parte autobiografico e voglio impiegare il tempo che passo sui mezzi a "osservare" l'umanità depressa costretta a prenderli, invece che concentrata su me stessa e sulle cose che mi piace leggere e ascoltare.

Mi dispiace cambiare totalmente tono, per salutare da queste pagine alcuni dei grandi scomparsi di fine anno (ce ne sono sempre, mi piace pensare che lo facciano apposta per guastare le feste a chi resta), a partire da Rita Levi Montalcini, che non ho mai capito cosa abbia fatto anche se so che è un genio riconosciuto, ma che, diciamolo, il suo bel secolo di vita se l'è vissuto. Poi se n'è andato Charles Durning, un attore corpulento e corposo che ho sempre adorato, con quello sguardo tra l'affabile e il perfido, perfetto sia per ruoli da buono che da villain. Mi è piaciuto tanto in film che ho amato molto: La stangata, Quel pomeriggio di un giorno da cani, I ragazzi del coro, Il più bel casino del Texas, Lo spaventapasseri e Mr. Hula Hoop. Era uno di quei caratteristi che lasciano il segno, come ne nascono sempre più di rado. Ci ha lasciato per sempre la vigilia di Natale, a 89 anni. Della sua morte qualcuno si è accorto, mentre ha avuto purtroppo meno risalto quella del regista italiano Emidio Greco,
scomparso a soli 74 anni lo scorso 22 dicembre. Autore di un importante film fantastico come L'invenzione di Morel, del 1974, dal racconto di Adolfo Bioy Casares, con uno straordinario Giulio Brogi, di Una storia semplice con Gian Maria Volonté, e del recente Notizie degli scavi, avevo avuto occasione di intervistarlo a lungo in una vecchia edizione del Bellaria Film Festival. Era un uomo molto colto, interessante, autore di 7 soli film, una persona di raro valore, un intellettuale disponibile e acuto, forse troppo schivo per una società da sempre amante dei caciaroni e degli urlatori.

E' morto poi anche il creatore di due serie che non ho mai amato molto, Spazio 1999 e Ufo, nonché dei Thunderbirds che mi hanno sempre fatto impressione:  
Gerry Anderson, autore della sci-fi di culto per molti dei ragazzi degli anni Sessanta/Settanta, ha preso il volo a 83 anni il 26 dicembre. 
Ma la scomparsa che mi ha colpito di più è quella di un personaggio assai meno famoso: Alberto Lisiero, fondatore dello Star Trek Italian Club, l'Ammiraglio della nostra flotta spaziale, che se n'è andato all'improvviso, troppo presto, a 48 anni. 
Durante le vacanze di Natale ero finalmente riuscita a guardare Trekkies, lo splendido documentario sui fan dell'universo creato da Gene Roddenberry, quello libertario, pacifista, hippy, aperto e tollerante di Star Trek
E attorno ai valori di questo mondo si è costruito proprio per questo un fandom colorito, divertente, a volte estremo, ma sempre interessante e umano. Ricordo di essere andata, molti anni fa, a una delle prime convention dello Sticcon, che si teneva a Viareggio, e in quell'occasione ho sicuramente incontrato Alberto, che era un punto di riferimento imprescindibile, assieme alla moglie Gabriella Cordone, anche per le pubblicazioni e le versioni italiane dei film e telefilm della serie. Non me lo ricordo, ma mi piace la sua passione, il fatto che sia stato sepolto con l'uniforme della Federazione e che per i suoi funerali siano arrivati a Bibione centinaia di fan in divisa. A qualcuno farà sorridere. A me, in tempi in cui non si riesce ad accendere la tv senza vedere gente priva di valori umani, che pietisce voti e consenso, commuove questa vita e questo addio affettuoso, e spero che a dargli il benvenuto, su nell'Ultima Frontiera, sia stato il burbero ingegnere scozzese interpretato da James Doohan, e che Alberto abbia avuto il tempo di dirgli, prima di lasciare bruscamente questo mondo, "beam me up, Scotty".