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mercoledì 12 novembre 2014


SEMAFORI VERDI, FAMIGLIE ATOMICHE
E
FALCHI MALTESI




Lo confesso: sono – chi ci crede dice che sia una prerogativa della Vergine – una che fa le pulci, spacca il capello in quattro, soffre per gli errori altrui, nota tutti i refusi, i sottotitoli sbagliati, le espressioni grammaticalmente e sintatticamente scorrette. Sono una che prova un vero e proprio fastidio fisico per il pressapochismo e la superficialità imperante di questi tempi. Sono così perché non sono perfetta e soffro tantissimo per i miei errori per cui mi colpevolizzo al di là del giusto e del necessario. Vorrei essere diversa ma non ci riesco. Ormai l'abitudine al controllo minuzioso di ogni parola (è delle/con le parole che vivo, dopotutto) ha operato in me una mutazione orribile, che mi rende insofferente a cose cui la maggior parte della gente, beata, non fa nemmeno caso. Nell'era di internet, quando chiunque può scrivere qualsiasi cosa, la mia sofferenza aumenta a dismisura. Sono un mostro, lo so, ma questo è il mio antro. Non siete obbligati a entrarci e se lo fate è a vostro rischio e pericolo.
Da tempo una conseguenza della mia mutazione è che provo un'enorme difficoltà a leggere libri tradotti e vedere serie tv e film doppiati. Perché NOTO TUTTO e ogni minima imperfezione mi distrae e mi estranea dalla storia, innescando un corto circuito senza ritorno. Se poi le imperfezioni non sono minime, allora è il dramma puro.
Anni e anni di ascolto, lettura, traduzione e revisione della lingua inglese me l'hanno resa quasi più familiare dell'italiano. Forse per questo il mio radar anticazzate capta anche frequenze ultrasoniche.
Qualche esempio? Mi è capitato un paio di anni fa di vedere per lavoro una puntata doppiata di una sfigatissima serie tv con l'altrettanto sfigato Christian Slater, The Forgotten. Non sono neanche a metà di una storia insensata quando sento una dei protagonisti rivolgersi con tono accusatorio a una donna: “tu non sei di (paese a caso) sei di Foster Care! Sei nata a Foster Care!”. Lì per lì penso ad un'allucinazione auditiva ma è tutto vero. In pratica chi ha tradotto la lista dialoghi ha scambiato la pratica dell'affido, l'essere cresciuti in affidamento, per una località degli Stati Uniti! Del resto agli albori di Coming Soon Television una traduttrice che a suo dire lavorava da tempo per la Rai e traduceva imperterrita “dutch” con “tedesco”, tradusse Sunset Strip, il celebre viale hollywoodiano, con un romantico “una striscia di tramonto”.



Altro esempio, più recente e meno grave, ma ugualmente significativo. Vedo, doppiato, Guardiani della Galassia. A un certo punto Peter Quill o chi per lui dice “è come il falco maltese”. Ora, lo so benissimo che Falcon in italiano è falco, ma quello che può sfuggire allo spettatore è che gli autori fanno qui riferimento a un libro di Dashiell Hammett e a un film, famosi da decenni in Italia col titolo di Il falcone maltese. E c'è anche Il mistero del falco di John Huston, dove si parla comunque della statuetta di un falcone maltese. Ho poi scoperto che in una nuova traduzione del romanzo di Hammett il mitico falcone è diventato un falco per cui pazienza: in questo caso, lo ammetto, ho esagerato. Passa un po' di tempo e nello stesso film sento la frase: “ha distrutto intere civilizzazioni”. No, il civilization inglese in italiano è CIVILTA', perché la civilizzazione è il processo di costruzione di una civiltà e non può essere distrutto, casomai - se fosse questo il caso - interrotto. Passa un altro po' di tempo e si parla di “negoziazioni”, un termine con cui si traduce da tempo erroneamente la parola "negotiations", che sarebbe in realtà “trattativa” o “negoziato”. Le negoziazioni esistono ma sono tipiche del linguaggio legale, che in questo caso non c'entra un tubo.

E ora gli esempi scritti, che coinvolgono anche case editrici di prestigio. Il problema, credo, è che non solo i traduttori sono sottopagati e devono lavorare in fretta sotto la sferza di editor a loro volta stressati, ma che è scomparsa la figura del supervisor, una persona che conosce la lingua ed è in grado di individuare gli errori più vistosi.
Avendo tradotto per anni, so che la traduzione a volte è anche un tradimento e una libera interpretazione. Ho avuto proprio oggi un chiarimento con la Rizzoli Libri su una cosa che avevo notato nella traduzione di Gone Girl (L'amore bugiardo) e che non mi aveva convinto. Verso la fine del libro, Amy (NO SPOILER, non temete) vagheggia rapita sulla futura “nuclear family” (il classico "nucleo famigliare": marito, moglie e un figlio) che sta per formare. La traduttrice ha scelto di rendere l'espressione con “famiglia atomica”, mi hanno spiegato, per rendere il gioco di parole americano. Secondo me questo gioco non esiste (al limite, se proprio lo si vuol vedere, poteva andar bene "famiglia nucleare" ma "famiglia atomica" in italiano non vuol dir niente). L'ironia - evidente nella frase dell'autrice - nasce dal contrasto tra la follia del tutto e l'apparente normalità delle aspirazioni della protagonista. Ma, come si diceva, le licenze poetiche esistono e anche se non le si condivide stiamo comunque parlando di interpretazioni per cui me la faccio andar bene e ringrazio la Rizzoli per avermi gentilmente risposto.


Però c'è un però. Di Gone Girl in italiano avevo letto solo il finale visto che il libro l'avevo letto mesi prima in inglese. Sto leggendo invece Divorati, il primo romanzo di David Cronenberg, con enorme fatica. Si sa che l'inglese fa ampio uso di avverbi, che in italiano appesantiscono non poco lo stile e che in alcuni casi (a me - che avevo la tendenza a usarli spesso - l'ha insegnato il grande Gianpiero Brunetta) si possono e devono trasformare. Ecco qualche esempio: “il viso della donna era imbarazzantemente (ma esiste questo avverbio?) vicino al suo”, “inquietantemente asettico”, “una dozzina sconvolgentemente veloce”, “si era trasformata in una vibrantemente, ebbramente appassionata arosteguyana” eccetera.
E poi ci sono delle strane traduzioni miste: se in America si dà il greenlight da noi non si dà il semaforo verde, si dà il via libera. Sono piccole cose, certo, in una traduzione complessa, ma se si aggiunge a questo la difficoltà dello stile dell'autore, stracolmo di termini tecnici, certo non si fa un bel servizio al romanzo in questione.

Quello che so per certo è che i traduttori oggi come oggi vengono pagati poco e le scadenze ravvicinate possono mettere in crisi anche uno bravo. Ma se lui/lei non ha il tempo per rivedere con calma tutto il lavoro, a maggior motivo servirebbe una figura di controllo finale. Probabilmente, nella necessità di tagliare sempre più, si eliminano professionalità importanti e così si finisce pure per mettere in copertina di un libro la foto di un altro autore. Vorrei che fosse chiaro, in conclusione, che non ce l'ho con gli schiavi ma sempre coi padroni. Se qualcuno poi avesse un antidoto per la mia malattia gliene sarei eternamente grata. A volte sarebbe davvero bello poter riuscire di nuovo a rilassarsi e godersi un libro o un film in italiano senza far caso alle note stonate.

 

mercoledì 5 novembre 2014

RIAPRO PERCHE' SI'



Ma sì, perché no? Come diceva Olivia di Braccio di Ferro "sono una donna, ho il diritto di cambiare idea"! E io di questo diritto ne ho fatto sempre ampiamente uso. Solo gli imbecilli non lo fanno. E poi, sì, va bene il posto incontaminato e tutto il resto, ma in fondo chi se ne frega?
Questa è casa mia e qui comando io per dirla con Milva (o era la Cinquetti? Boh) e in questo mondo di blogghisti per forza chi sono io per togliermi dalla massa? Ci scrivo, non ci scrivo, sono cavoli miei. Perdo tempo, parlo di serie tv, di cinema, di libri, delle cose che vorrei fare/leggere/vedere/scrivere/vivere e che so che non farò mai? Saranno pure fatti miei. Diciamo che questo sarà d'ora in poi un blog anarchico senza scadenze e forse anche senza interesse, ma che ho deciso di tenere aperto. Perché in fondo, con tutte le stronzate che si leggono in giro, io non do fastidio a nessuno, me ne sto buona buona in un angolino e magari di tanto in tanto gioco a fare la vecchia acida sfogandomi per gli orridi doppiaggi italiani, gli orrori di traduzione, chi vede 10 film e si sente un critico professionista, chi ha nerdizzato il mondo. 
Oppure mi esalterò per le cose che piacciono solo a me,  seduta su questo scomodo divanetto virtuale a psicanalizzarmi l'anima.
Sarà un delirio solipsista come è giusto che sia un blog, senza sensi di colpa e senza vanagloria. Insomma, il locale è di nuovo aperto, la birra me la sono bevuta tutta e al momento siamo un po' sguarniti. Del resto il mio sogno non è mai stato quello di gestire un locale ma di presiedere un salotto letterario, di quelli che ormai non esistono più, dove si parla di cose non legate alla sopravvivenza del corpo ma dell'anima. Per invitarci anche le persone che ho avuto la gioia e l'onore di intervistare o di ascoltare in questi ultimi tempi: IgorT, Alejandro Jodorowsky, Robert Crumb, Gilbert Shelton... tutta gente ignorata dall'Italiano Medio ma che qualcuno per fortuna ancora conosce e ama.
Per ora è tutto. Chi vuole leggere qualcosa di leggermente più sensato della sottoscritta può scorrere tra recensioni e interviste su www.comingsoon.it e sul numero di Mucchio Selvaggio in edicola, dove parlo, da umile ospite, dell'horror e di quello che mi piace oggi e che mi fa paura. E adesso chiudo perché mi sento un po' strana a parlar da sola e ho un sacco di serie in arretrato da vedere. Vi farò sapere quando il bar sarà di nuovo fornito. Oppure no. Ve l'ho già detto quanto odio novembre?

sabato 30 agosto 2014


WARNING
Questo blog si autodistruggerà tra 30 giorni
(E l'ultimo chiuda la porta)


Ehm.. Come qualcuno (forse) avrà notato, non aggiorno il blog dal settembre 2013. Dopo quell'ultimo, malinconico post, la vita nel bene e nel male mi ha travolto. Ho avuto spesso voglia di tornare a scrivere di libri, di serie tv, di gente, ma mi è sempre mancato il tempo. Mia figlia mi ha detto che non c'è niente di più triste di un blog abbandonato e io sono d'accordo con lei. Oggi quasi tutti hanno un blog, ma chi lo aggiorna spesso non è come la sottoscritta. Non riesco a scrivere solo due righe e chi s'è visto s'è visto. Per me un blog ha pari dignità di un lavoro professionale, ma è più intimo e dunque richiede un maggior coinvolgimento emotivo, che non ho al momento più voglia di impiegarci.

Mi sono resa conto che, con l'età, divento sempre più pessimista. Sono sempre meno sono le cose che mi piacciono e sempre di più quelle che mi fanno venir voglia di incazzarmi e lamentarmi, come faccio ormai su Twitter. Quest'anno poi è stato tremendo: a marzo se n'è andato all'improvviso mio padre, che non vedevo da Natale, lasciandomi un vuoto enorme. Nessun dolore può avvicinarsi a quello, ma è stato brutto pure assistere alla scomparsa di personaggi che amavo e ammiravo come PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, e che in qualche caso avevo incontrato più volte, come ROBIN WILLIAMS.

Ero a Parigi nel 1978 quando appresi – dalla radio, che allora internet non c'era – che era morto il mio adorato JACQUES BREL. Ero appena arrivata a Parigi per una vacanza quando la mail di un collega, solo a presidiare il forte nella Roma ferragostana, chiedeva se qualcuno poteva scrivere qualcosa sulla morte di Robin Williams. La MORTE di Robin Williams? Come poteva essere morta una persona così viva, travolgente, autoironica, buona, come avevo avuto modo di constatare fin dalla prima volta in cui, a Venezia, l'intera sala si sentì male dal ridere alla conferenza stampa di Good morning, Vietnam? Un uomo così incontenibile, così spiritoso, che diceva di sé “qualcuno dice che sono un bambino nel corpo di un uomo, io mi ritengo un uomo nel corpo di un orangutan”. Come poteva esser morto l'uomo che si firmava RW, come se fosse l'unico proprietario di quelle iniziali? Quando poi ho saputo le modalità del suo addio mi sono sentita anche peggio.
I migliori di noi - ho riflettuto poi - i più sensibili, intelligenti, generosi e buoni sono quelli che se ne vanno per primi. Non ce la fanno a sopportare questo mondo falso, cattivo, perennemente in guerra, in cui a dominare sono ipocrisia, ignoranza, violenza e intolleranza.

Io li stimo quelli che hanno il coraggio di andarsene, anche se seminano intorno a sé un enorme dolore. Quando uno ha dato tanta allegria e felicità al mondo è come se rivendicasse il diritto di riprendersele con gli interessi, e io lo rispetto.

Ma mi sono anche resa conto che il mio blog, esprimendo il mio vissuto e i miei sentimenti, avrebbe finito per assomigliare sempre più a un florilegio di necrologi, e per quanto mi trovi spesso a scriverne per lavoro non credo che sia giusto farlo anche qua.

Film ne vedo tanti, serie tv di più, riesco ancora ad entusiasmarmi per qualcosa ma il bilancio emotivo e culturale è attualmente in rosso.

Il tempo libero dal lavoro lo dedico a mia figlia, alla nostra sopravvivenza in questa difficile e decaduta capitale, alla lettura e agli amici. Non mi va in questo momento di scrivere parole che andranno al vento, come tutto quello che viene “pubblicato” su Internet. Magari mi concentrerò su un libro, qualcosa che mi dia più soddisfazione e mi sembri meno effimero.

Inoltre mi sento fuori moda in un mondo dominato da ragazzetti che giocando su youtube riescono senza sforzo a conquistare anche milioni di utenti e ne fanno un mezzo di sostentamento. E' loro il futuro, non delle scribacchine come la sottoscritta.

E poi c'è dell'altro: non escludo di recuperare in futuro una forma di scrittura veloce e blogghistica, ma non in queste pagine. Questo non è il mio blog, l'ha creato una persona a cui non ripenso volentieri (auguri e figli maschi, a proposito) ma che non ha mai saputo chi ero. E' legato a un libro che – in quella forma – non ho mai amato e di mio, a parte i post degli ultimi due anni, non c'è altro.
Se torno, lo farò dunque su uno spazio che sia davvero incontaminato e nuovo.

Per adesso vi ringrazio della pazienza e dell'attenzione che avete dato ai miei vaneggiamenti. Questo blog si autodistruggerà tra 30 giorni: dal 30 settembre non sarà più leggibile. Quindi, senza tristezzam addio ai miei 4 lettori: tenete d'occhio il pulsante!