PARLIAMO UN POCO DI ME
Io, David Sedaris e il Kindle Sorpresa
A parte gli amici e i conoscenti che
leggono regolarmente questo blog, immagino che la maggior parte di
quelli che ci capitano per caso non mi abbia mai sentito nominare e
sia troppo pigra o disinteressata per googlare il mio nome e trovare
informazioni sulla sottoscritta (che non sta su Facebook perché è
una maledetta snob, ma su Twitter ci passa le giornate). E cosa puoi
aspettarti da gente che ci arriva cercando frasi come “bambino
sfregiato con un bisturi”? Brrr. Siccome la gente che legge questo
blog è assai pochina, diciamo che mi sento sufficientemente a mio agio, come succede tra amici di
vecchia data, per mettermi in libertà e togliermi un po' di sassolini
dalla scarpa.
Chi ero lo trovate
QUA, grazie alla
gentilezza di
Enrico Zoi che mi mette in compagnie assai più
illustri di me. Chi sono... non essendo mai stata riservata e non
avendo niente da nascondere, basta chiedere e vi racconto tutto
quello che vale la pena di sapere. Ad esempio, che in questo periodo
sono molto - ma proprio molto - arrabbiata, annoiata e scontenta. A
volte anche in modo irrazionale.
Sono troppe le cose che non mi
piacciono: l'aria che si respira in questo paese, la gente che vedo
in giro, il cinema che mi tocca recensire, i colleghi che tirano a
campare perché ormai sanno di essere condannati, la scuola pubblica
inadeguata, lo stato della
cultura, la decadenza della città che tanto amavo e in cui ho scelto
di vivere, i miei che invecchiano e me, che – a differenza di
troppe donne e uomini senza qualità, capaci di vendersi per quello
che non sono e di convincere gli altri delle proprie inesistenti doti
- non trovo neanche un acquirente per quelle che so di avere.
E siccome io non mi accontento mai di me stessa e di quello che
faccio, odio chi si siede, chi si adagia, chi “tira via”, in
qualsiasi campo, accontentandosi di dare il minimo sindacale, o
magari solo incapace di superare la propria mediocrità. Vivo in un
mondo in cui chi non sa pensa di sapere, e chi sa si rende conto di
non sapere abbastanza. E a vincere sono sempre i primi.
Non mi piace neanche rimpiangere il
passato: so, parafrasando
Nanni Moretti, che “non torneranno
più i festival e i lavori gratificanti di una volta”. So che devo
essere orgogliosa di avere vissuto quei periodi di pura, perfetta e
sconsiderata felicità, di aver avuto la fortuna di sedermi a tavola
con
William Friedkin e
Christopher Lee e di aver
sentito il primo raccontare con gusto dei divertenti aneddoti sui suoi film e
il secondo fare imitazioni di colleghi e cantare arie d'opera con la sua profonda, splendida voce.

So che devo essere felice per
gli anni del
Mystfest e per le amicizie che ci ho fatto, per
aver lavorato al
Noir in Festival con gente che stimavo e
stimo e che mi ha insegnato molto, e per aver parlato, in interviste
lunghissime e umanamente coinvolgenti, prima dei tempi lampo della
tv, con attori e registi che hanno fatto la storia del cinema.
Confesso che ho vissuto e così sia.
Ma possibile che adesso sia tutto
passato, perso per sempre, come lacrime nella pioggia? Forse sì ed è
giusto che sia così. Magari in futuro pubblicherò qua alcune di
quelle interviste, di quei ricordi e di quelle storie. Quando uno,
nella vita privata e nel lavoro, per un certo periodo di tempo non
può usare il cervello al massimo, questo si atrofizza, è fatale. Ma
io devo dargli aria ogni tanto, perché in fondo è un bel cervello e
ci sono affezionata, anche se mi ha sempre complicato la vita.

Ricordate la lista delle cose per cui
vale la pena vivere, stilata da un
Woody Allen depresso in
Manhattan? Io quelle liste ho iniziato a farle da adolescente (quando ancora
Fabio Fazio giocava coi soldatini),
solo che le chiamavo “
amo” e “
odio”. Ora quello che odio l'ho
già detto, e per quelle che amo la lista è troppo lunga, però la
cosa che preferisco su tutte è, da sempre,
leggere. Di tutto, di
continuo, in ogni momento libero dalle incombenze della vita
quotidiana e dalle visioni di film e telefilm, a letto e sui mezzi,
incrociando senza sosta i flussi (roba da fare invidia a Doc).
Ultimamente, però, mi ero inceppata anche lì: in contemporanea
pretendevo di leggere il ponderoso e bellissimo tomo di
Oliver
Stone 
sulla storia segreta degli Stati Uniti assieme a un saggio
sull'arrivo della mafia italiana in America, a
World War Z di
Max Brooks (noia mortale) e a vari autori per me sconosciuti,
scaricati “aumm aumm” sul
Kindle Sorpresa, come lo chiama
mia figlia. Ah, e nel mezzo ci avevo messo pure
Gli sfiorati
di
Sandro Veronesi, trovato in redazione e prontamente
restituito dopo averne letto una cinquantina di pagine (senza
offesa).

Comunque, io adoro annusare, toccare e
sfogliare i libri di carta e ho sempre guardato con disprezzo il loro
misero surrogato, tra l'altro ultimo regalo, come quasi tutta la
roba elettronica utile (e superflua) che ho in casa, del mio generoso
ma poco romantico ex. Alla fine, però, per me condannata a passare
ore infelici sulla
metro B e su quelli che
Gigi Proietti
definiva i “lenti pubblici” romani, si è rivelato utile. Anche
perché contiene già duemila libri, come quelli che mi hanno
riempito la casa e sfondato le librerie, che lì dentro non pesano e
non si vedono. Ne ho approfittato per buttarci tutto quello che avrei
sempre voluto leggere ma non ho mai avuto voglia di comprare, oltre a
libri che ho già di carta ma che voglio portare con me e autori a
cui dare una seconda possibilità (ad esempio so che dovrei leggere
di nuovo
Chuck Palaniuk). Ah, tutto rigorosamente in inglese,
senza il filtro della traduzione. E che cavolo, già che posso lo
faccio, no?

E' così che, dopo essermi goduta su
carta gli splendidi, cinematografici disegni di
Fragile e
Sarah, del mio amico
Stefano Raffaele (vedere per
credere
QUA) e la raccolta di tutte le storie di
Valentina Mela
Verde della grandissima
Grazia Nidasio, ho aperto a caso
il kindle e - sorpresa ! - ho scoperto
David Sedaris. Per
qualcuno sarà anche la scoperta dell'acqua calda, ma è una di
quelle cose che mi hanno riconciliato con la vita (che quest'anno,
come già sapete, è stata davvero stronza con me).
I racconti di questo straordinario
scrittore, che confonde ad arte autobiografia e realtà, narrando con
senso del grottesco e naturalezza le storie imbarazzanti dei nonni greci,
delle sorelle, dei genitori, dei propri tic adolescenziali e della propria omosessualità, sono un ritratto acutissimo, divertente e
intelligente della società in cui viviamo.

Perché le storie migliori, quando sono
personali, sono universali.
Ho iniziato dal suo primo lavoro, senza
saperlo, il meraviglioso The Santaland Diaries (1992),
in cui David racconta la sua esperienza di elfo ai celebri Magazzini
Macy's nel periodo natalizio. E' assolutamente fantastico il panorama
umano che passa come un fiume in piena nel villaggio di Babbo Natale,
ricreato con mille magie all'interno del tempio del consumo, e che
Sedaris descrive con impietoso senso dell'ironia. Così come sono
incredibili i vari elfi e Santa Claus che partecipano alla recita, il
cui fine è vendere le foto fatte ai marmocchi (ricordi che arriveranno in casa degli acquirenti, in molti casi,
nell'agosto dell'anno dopo, visto che all'epoca non esistevano ancora le foto
digitali). Dice di più questo racconto sui guasti che il capitalismo
e il consumismo hanno arrecato alla gente, di mille pesanti saggi di
economia.

Dopo questa autentica perla, sono
passata agli altri racconti, uno più bello dell'altro, tutti
totalmente
outrageous, come quelle serie inglesi che mi
piacciono tanto. Come succede ad esempio in
Next of Kin, dalla
raccolta
Naked, in cui Sedaris parla di un libro pornografico che racconta di incesti e sesso pedofilo, letto da lui e dal resto della famiglia, dagli 8 anni in su. Anche da questo capitolo scabroso del suo Lessico Famigliare, l'autore riesce a trarre una storia a modo suo pura, spassosa
e credibile.
Sedaris è stato anche molto attento ad
alimentare il suo mito. Quando
Wayne Wang acquistò i diritti
cinematografici e trasse una sceneggiatura dalla sua raccolta
Me
Talk Pretty One Day (in italiano
Me parlare bello un
giorno, visto l'altro giorno su
una bancarella a 3 euro), David ci ripensò e gli chiese di
non farne di niente, perché
preoccupato di come la sua famiglia sarebbe apparsa sullo schermo. Fu un
peccato ma dà da pensare, no?

L'unico problema nel leggere uno come
Sedaris è che ci si ritrova, come raramente accade (a me è
accaduto con i
Tales of The City di
Armistead Maupin e
con
Il tradimento di Rita Hayworth di
Manuel Puig, vero e proprio libro test: dovevo rendermi conto che il mio ex non era
l'uomo giusto per me quando mi disse che non riusciva a capirlo), a
ridere d'un tratto ad alta voce, dimentichi di dove ci si trova.

Ma
chi se ne frega, aggiungo. Ridere allenta la tensione e riscalda il
cuore, e dal momento che
Woody Allen è "morto" e neanch'io mi
sento tanto bene, ben vengano queste rare e preziose occasioni di
abbandonarsi al piacere puro dell'intelligenza e dell'ironia. Mi sa
che non è un caso che
David Sedaris, come i due scrittori
succitati, sia gay. Solo chi appartiene a qualche minoranza sa
descrivere tanto bene i propri difetti e l'imbecillità dei più. Mi
piace pensare che sarà una risata come queste, irrefrenabile e di
pancia, che un giorno seppellirà tutti gli ipocriti, i farisei, i benpensanti e gli idioti di questo mondo.