IL CIMITERO DELLA CRITICA
Riflessioni su una professione moribonda (I'm back)
Chi mi conosce sa che come
critico, pur essendo severa, sono “buona”. Conosco la fatica che sta dietro
anche al più miserabile dei film, non sarei mai capace di girarne uno e dunque
cerco sempre di giudicare con indulgenza (il che mi procura le accuse di
buonismo su cui tornerò alla fine). Certo, mi rendo anche conto che un film non
costa quanto un libro e che spesso si buttano milioni solo per compiacere l'ego
o l'idiozia di qualcuno. Quello che mi dà veramente fastidio è la presunzione e
la mancanza di consapevolezza dei propri limiti, che, come accade a molti
ignoranti, vanno spesso a braccetto. E odio chi, spacciandosi per critico,
sovrappone se stesso e le proprie verità assolute a film che non riesce a vedere, perché
accecato dalla propria mania di protagonismo. Faccio questo lavoro da una vita,
più o meno stabilmente da oltre 35 anni (sigh, quest'anno sono 60, come corre
il tempo!) e – di qualcosa posso vantarmi anch’io - sempre con onestà e senso
di responsabilità verso chi mi legge. Cerco sempre di essere chiara, di fornire
informazioni utili, di dare allo spettatore uno strumento, di condividere la
mia passione o i motivi del mio giudizio negativo. Anche per questo non mi
piacciono le stroncature feroci, espressioni rozze e insindacabili delle
idiosincrasie di chi ha un computer sotto mano, un posto dove pubblicare i
suoi deliri e non conosce l'arte dell'ironia, che permette di parlare di un film in maniera molto più tagliente rispetto a chi usa la scrittura come un'arma e si sente per questo superiore a chiunque stia
dall'altra parte.
Purtroppo mi rendo conto che la mia professione, con
l'avvento di internet, è fortemente decaduta. Intanto perché, con la
democratizzazione verso il basso tipica del web, strumento a disposizione di chiunque,
ha aperto la porta della scrittura anche a chi ha scarse conoscenze della
lingua italiana e a un infinito esercito di pigri che hanno visto solo film
dell'era in cui hanno iniziato ad andare al cinema e non si curano di
recuperare gli altri o di verificare le cose che scrivono. Viviamo nell'era
dell'ignoranza che si spaccia per verità assoluta, purtroppo. Il socratico “so di
non sapere” oggi non ha più senso, come non lo ha studiare, informarsi,
migliorarsi.
Non per fare quella che “ai
miei tempi”, ma purtroppo è vero: quando si iniziava a scrivere sul cartaceo
(ma già nei primi anni Novanta si scriveva anche sul web, non eravamo così
preistorici!) si faceva una bella palestra e una lunga gavetta: le riviste di
cinema più prestigiose (Segnocinema, Cineforum, Film critica, Cinecritica, Cinema Nuovo e pochissime altre)
ti accettavano solo se dimostravi di sapere di cosa stavi parlando e se lo facevi
bene (poi vabbé, c’era sempre quello che copiava, ma la mamma dei furbetti è
sempre incinta). Prima di arrivarci, ricordo di aver scritto una lettera, ventenne, all'allora critico de La Nazione
Sergio Frosali, inviandogli dei miei pezzi di prova. Fu gentilissimo, mi
rispose con osservazioni molto pertinenti e consigli, e mi disse che per
scrivere di cinema occorreva anche conoscere il teatro, la musica, la letteratura
e tutto quel che ci circonda. Fortunatamente, essendo da sempre vorace lettrice
e appassionata di ogni forma di arte, non ho avuto problemi a fare mia quella
lezione (molti giovani “critici” oggi gli avrebbero riso in faccia, figurarsi
chiedergli consigli!), ma il punto è proprio questo: puoi anche non aver letto
tutti i libri da cui sono tratti i film di cui parli, puoi non comprendere
tutti i riferimenti, ma niente ti impedisce di informarti, studiare,
approfondire, se non la fretta assurda con cui oggi si scrive sul web e
un'imperdonabile superficialità.
Quando andavamo alle
proiezioni stampa, per fare un semplice esempio, eravamo poche decine: i grandi
vecchi dei quotidiani e noi giovani, che abbiamo sdoganato tutto il cinema di
genere che a loro aveva sempre fatto schifo (con l’eccezione dell'indimenticabile Callisto
Cosulich e in parte di Tullio Kezich), ma nonostante questa contrapposizione siamo
sempre stati educati, col desiderio di fare meglio e saperne di più, di
superare i (cattivi maestri). Poi è arrivato il web e le porte (dell’inferno) si
sono spalancate a tutti: alle proiezioni stampa ora ci sono centinaia di
persone, molte capitate lì per caso, altre con un blog letto da 10 persone e in
compenso belle presuntuose, che pontificano e sparano cazzate ad alta
voce, non conoscono e non amano il cinema ma si sentono in diritto di parlarne,
perché tanto che ce vo’? Vedi su questo la profetica e immortale sfuriata di Nanni Moretti in SOGNI D'ORO.
Però
succede - e mi rivolgo agli ingenui là fuori, che pensano che se uno è pagato
per fare un lavoro sia anche libero di farlo come gli pare - che i film che a uno fanno schifo li recensisce qualcun altro e che a volte venga chiesto da esterni
di attenuare certi giudizi o di ritardare la pubblicazione di recensione
negative, e siccome non scrivi per “il mio blog dove dico quel che cacchio mi
pare tanto alle proiezioni mi invitano lo stesso, non mi pagano e sono libero
di dire che un film è una merda e di offenderne l’autore”, ma vivi del tuo
lavoro per quanto precario, non puoi certo permetterti – ammesso che lo
faresti – di sparare giudizi tranchant dall’alto della tua presunta
superiorità. Dovrebbe essere ovvio che non sei “libero”
come vorresti. Ma puoi comunque scriverne male, e lo fai, motivando. L’eccezione
sono i festival, dove dei film puoi dire quello che vuoi, ma io non ci posso
andare, per cui, a parte il festival di Roma, capitolo
limitato ai film che escono in sala e che non sono già recensiti da chi invece
ci va.
Ora, un utente di Twitter,
unico social che sopporto, mi scrive: “pensa che su un forum (ne
esistono ancora? Io li frequentavo già negli
anni Novanta e mi sembrano ampiamente superati) uno ha scritto che alla Catelli
piacciono tutti i film”. E lì devi rispondere, visto che sei chiamata in causa.
Ancora una volta si tratta di ignoranza, nel senso di ignorare una serie di
cose: da qualche anno (e non per mia scelta) recensisco quando va bene due film
al mese. Potendo sceglierli, vedo quelli che mi interessano per argomento,
autore o altro, e che sono poco ambiti. E’ nel cinema indipendente che si
trovano ancora sorprese non certo in quello mainstream. In genere i film che
detesto, per i motivi di cui sopra (festival ecc) sono già recensiti e non ha
senso scriverne ancora. Ciò detto, non mi piacciono tutti i film e ho una lunga
serie di artisti e opere che detesto e che non ho potuto affrontare o che ho
scelto di ignorare per manifesta incompatibilità.
Volete i nomi? Presto detto: dei film degli Oscar l’anno
scorso non me ne è piaciuto nemmeno uno, a partire dall’insopportabile
Lagnaland, per proseguire con l’orribile Manchester by the Sea, l’insignificante
Moonlight ecc. Chiamami col tuo nome non mi è piaciuto affatto, ho detestato
Arrival, non sopporto lo stile di Christopher Nolan e di Paolo Sorrentino e di
tutti quelli di cui si dice che “però sa girare”, non sono una fan di Clint Eastwood di cui mi
sono piaciuti 3 o 4 film in tutto, da qualche anno non reggo Woody Allen
(sempre inteso come cineasta), mi sono disamorata di Spielberg che era uno dei miei registi preferiti, Wes Anderson mi dà l'orticaria, detesto fin dal
primo film la saga di Star Wars e trovo inutile - a dir poco - il 90 per cento del
cinema italiano (e lì per forza devi scegliere il meno peggio). Vogliamo
parlare di “capolavori” come Lo chiamavano Jeeg Robot o Veloce come il vento? Ma anche no, grazie! L’unico film italiano di cui ho parlato bene perché meritava è La
stoffa dei sogni, che ovviamente non ha visto quasi nessuno.
Per mia sfortuna, poi, amo e
conosco il cinema horror, per cui sono condannata a parlarne e lì sì che son
dolori, visto che quasi tutto quello che arriva sui nostri schermi fa schifo e quelli
belli, che esistono, te li vedi online ed escono direttamente in home video. E
pure lì ci sono richieste di attenuare i giudizi o di non parlarne affatto. Ho
adorato Get Out senza riserve e mi divertono i low budget come la serie di Purge. Metà dei film che vedo non mi piacciono o mi lasciano indifferente e ora come ora
preferisco di gran lunga le serie tv, ma, siccome la gente non sa leggere tra le
righe, ecco che vieni accusato dell’esatto contrario. Se è per questo, non sono facile neanche a usare usare la parola capolavoro, visto che ho visto quelli veri, dal muto in poi. Quindi, sappiatelo, ormai la
critica non ha più ragione di esistere. Io detesto i boia e le esecuzioni
sommarie, per cui sono felice che il mio lavoro mi permetta anche di poter
scrivere approfondimenti sul cinema, programmi televisivi, tradurre interviste
e backstage e fare tante cose che per fortuna, per esperienza, cultura ed età
sono in grado di fare. Ma se volete stroncature gratuite siete pregati di
rivolgervi altrove, visto che l’offerta certo non manca.
6 commenti:
Magnifico Daniela.
Purtroppo la nostra era è il CIALTRONEVO. Unico modo di sopravvivere "Non ti curar di lor, ma guarda e passa". L'ho virgolettato nel caso qualcuno della categoria da te citata stia leggendo, così capisce che si tratta di una citazione ;-)
Lo aveva predetto Oewell, lo aveva predetto Huxley e ce lo aveva spiegato bene Chomsky.
Ma come dice Charlie Brown : non si può arginare il mare con un rastrello ...
Per assurdo, ora che la cultura è di facile, gratuita e di quasi immediato accesso per tutti, stiamo tornando ai secoli bui, quando il sapere era appannaggio di pochi.
Resisti. Come vedi il vinile alla fine sta spazzando via il CD ... ;-)
Sandra Caroline Laurent
Cara Daniela.
Con la tua competenza e arte del narrare/sviscerare, hai alfabetizzato diecimila generazioni.
I tuoi libri andrebbero studiati.
Il resto è solo mondezza comunicativa/umana.
Daje sempre!
Il fan Kurando.
Ottimo! E, come la verità fa male, spero lo leggano tutti. Anch'io spesso mi trovo di fronte a giovani colleghi che hanno soltanto due aggettivi per giudicare i film: "schifoso" o "capolavoro" il più delle volte senza motivare il giudizio, lo stesso vale per l'argomento affrontato, dato che come diceva Moretti "siamo uguali ma diversi", non tutti abbiamo vissuto la stessa vita né abbiamo lo stesso punto di vista. La verità poi cambia a seconda del 'testimone/spettatore' (come in "Rashomon" di Kurosawa). Però quando si tratta di un'opera d'arte bisogna capire anche l'autore e riflettere su quello che stiamo vedendo. Anche a me all'inizio, qualche volta sono stato definito 'stalinista' verso certo di cinema di genere (dalla 'commediaccia' al 'poliziottesco), visto che non sono tutti da rivalutare e ora 'buonista'. Forse non bisogna reagire con indifferenza come loro fanno di fronte a tutto il cinema fatto prima della loro nascita. Speriamo si vadano a vedere (non a rivedere come noi) i veri capolavori restaurati. José de Arcangelo
in effetti sarebbe però il caso di affondare ancora di più il coltello nella piaga....
perché la verità è semplice: cinema e cultura non sono più la stessa cosa...sia per colpa della cultura....sia per colpa del cinema...la questione della critica va di conseguenza...
Grande Daniela! TI seguo dai programmi sull'horror di Coming Soon TV ed è sempre un piacere incontrarsi. Grazie di aver parlato del mio film del cane. Fulvio R.
Grazie Fulvio, leggo solo ora, mi fa molto piacere! Spero tutto ok e aspetto la tua opera terza!
Daniela
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