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martedì 22 dicembre 2015


LA COLTA OPERA BUFFA DI VINICIO CAPOSSELA
(ovvero: da quanto tempo!)


Mia figlia, appassionata di musica, mi ha chiesto un giorno perché io non la ascolto mai. Ci ho riflettuto e mi sono accorta che è vero. Eppure fin da piccola è stata una presenza fondamentale nella mia vita. Se l'ho abbandonata in questi ultimi anni è per mancanza di tempo. Perché per vedere un film o leggere un libro puoi trovare le due ore al giorno necessarie per farlo, ma la musica – a meno che tu non ascolti solo canzonette – ti chiede molto di più. L'ascolto non può essere distratto, episodico, perché la musica è un'amante gelosa, richiede tutta la tua attenzione, chiede calma e totale dedizione.
Ma ieri, finalmente, ho avuto modo di immergermi totalmente per ben 3 ore in un mondo fatto di musica nella sua accezione più alta. 
Una piccola premessa: nel 1999 ho lavorato con Marina Fabbri nell'organizzazione della prima e unica edizione di un festival cinematografico a Reggio Calabria che si chiamava XX Secolo in onore della prossima fine del '900. Tra i molti ospiti di quella bellissima e per me indimenticabile kermesse c'erano Tim Roth e Vinicio Capossela, che all'epoca non masticava una parola di inglese così come l'attore non ne capiva una di italiano. Eppure ricordo una cena in cui loro due comunicavano benissimo e dove ho cercato di intromettermi il meno possibile, se non su richiesta, affascinata nel vedere come due uomini di talento riuscissero a farsi capire senza, in effetti, capirsi. Erano due personaggi così particolari che vederli insieme era giù uno spettacolo. Al festival poi Capossela si esibì con la gitana Kocani Orkestar, in un'esplosione di musiche balcaniche che mandò in ebollizione il pubblico. 

 
 Dopo tanti (troppi) anni, il 21 dicembre sono riuscita a riascoltare dal vivo questo  chansonnier et musicien extraordinaire in uno spettacolare concerto al Teatro dell'Opera di Roma. Mi erano sempre sfuggite, per un motivo o per l'altro, le sue esibizioni, spesso eventi unici o in date che non mi trovavano mai libera la sera in questione. Avevo ascoltato e amato molto alcune canzoni ma non mi ci ero mai dedicata con l'impegno che meritano.
Ieri finalmente ho rimediato a questa mancanza e ne sono stata immensamente felice. Sul palco lui con la sua naturale estensione, il pianoforte, alcuni suoi collaboratori storici (tra cui il mitico Vincenzo Vasi capace di trarre dal suo theramin voci umane e ultraterrene) e l'arrangiamento e accompagnamento dell'orchestra d'archi Maderna diretta dal Maestro Stefano Nanni. Ad assistere a questo evento che festeggia i suoi 25 anni di carriera e che si chiama, appunto, Qu'art de siècle, o Fantasmagorie, arrivato in Italia dopo un tour europeo, c'erano almeno 1600 persone, ovvero il teatro strapieno in ogni ordine di posti da un pubblico eterogeneo, di varie generazioni, preparato, appassionato ed entusiasta (quello dei palchi a volte anche troppo).

Alla fine della serata ho pensato che avevo assistito a uno spettacolo che valeva almeno il doppio di quanto avevo pagato: 3 ore di storie, viaggi, emozioni, canzoni ed elegie, bestiari e caravanserragli, profeti, balene e marinai, tra poesia e letteratura, mito greco e cinema contemporaneo, con una profondità e un'intensità che hanno rapito tutti i presenti. Il bis è durato quasi un'ora e ha presentato anche due inedite Canzoni della Cupa, che attingono al repertorio di Matteo Salvatori e hanno al centro mostri tipici delle zone pugliesi, come lupi e porci mannari che hanno ululato e grugnito alla luna dopo aver ceduto ai loro istinti bestiali e carnali. C'è stato spazio e l'occasione giusta anche per festeggiare i Saturnali (16/23 dicembre), condotti con la maschera del Minotauro, con l'accompagnamento di campanacci ed eseguito con una selvaggia e dionisiaca energia, dove a bruciare invece di Troia era giustamente Roma. Ho pensato a quanto quest'uomo, questo artista, sia cresciuto nei 16 anni da quando lo avevo ascoltato per la prima volta. 

 
Con ogni cambio di copricapo è stato (è) capace di attraversare, portandoci con sé, paesi e storie del nostro mondo, attingendo a suggestioni suscitate da film come Toro Scatenato, C'era una volta in America e Birdman. In tre ore ha cantato boleri nelle vesti di un picaro, è stato Dickens e il capitano Achab in lotta contro il mostro Moby Dick, Giona nella pancia del Leviatano, il cantastorie di paese con l'organetto di Barberia; con la voce struggente dei violini, una piccola pianola, la chitarra e il pianoforte, ora sussurrando ora gridando, ha raccontato storie, celebrato l'amore tra due pianoforti abbandonati in un magazzino di Lubecca dopo la guerra, evocato lo sfarzo pacchiano dei nostri Marajà, il difficile ritorno di Ulisse, il viaggio nella conoscenza di Dante con la sua Commedia, ha dato voce alla civettuola sirena Pryntil dello Scandalo negli Abissi di Céline e ci ha benedetto con la splendida preghiera laica Ovunque proteggici



Con la sua arte Vinicio Capossela ha tenuto avvinte come un prestigiatore le anime di persone di ogni età, riunite in un teatro per uno splendido rito pagano e ne ha avuto in cambio un amore appassionato e sincero.
Oggi, leggendo cose in Internet su di lui, mi sono anche imbattuta in due articoli i cui autori – uno in specie – sfoggiavano una bella e spiritosa prosa per demolirne la figura e le capacità, cercando di dimostrare che si tratta di una moda, un falso, un ubriacone neanche originale. A questi signori vorrei dire che tutto - anche l'esser bravi giornalisti - si può fingere, tranne la cultura e la sensibilità. L'invidia per un grande talento è perfino più triste di quella meschina tra vicini di pianerottolo. Ma del resto siamo in Italia, dove un artista come Vinicio Capossela, apprezzato in tutta Europa, rischiamo di non meritarcelo.

La Musica, quella che ha parole e armonie che vengono da molto lontano, ci chiede solo di aprire l'anima e ascoltare, in uno scambio che arricchisce chi la riceve, come la bella letteratura e il buon cinema (o viceversa). 

E dunque Buone Feste ai miei pochi e fedeli lettori, con l'augurio di avere sempre voglia di viaggiare in territori sconosciuti e di seguire la voce delle sirene a testa alta e  con passo deciso, senza paura di finire nella pancia del mostro.

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