LA COLTA OPERA BUFFA DI VINICIO CAPOSSELA
(ovvero: da quanto tempo!)
Mia figlia, appassionata
di musica, mi ha chiesto un giorno perché io non la ascolto mai. Ci
ho riflettuto e mi sono accorta che è vero. Eppure fin da piccola è stata una presenza fondamentale nella mia vita. Se
l'ho abbandonata in questi ultimi anni è per mancanza di tempo.
Perché per vedere un film o leggere un libro puoi trovare le due ore
al giorno necessarie per farlo, ma la musica – a meno che tu non
ascolti solo canzonette – ti chiede molto di più. L'ascolto non
può essere distratto, episodico, perché la musica è un'amante
gelosa, richiede tutta la tua attenzione, chiede calma e totale
dedizione.
Ma ieri, finalmente, ho
avuto modo di immergermi totalmente per ben 3 ore in un mondo fatto
di musica nella sua accezione più alta.
Una piccola premessa: nel
1999 ho lavorato con Marina Fabbri nell'organizzazione della prima e unica edizione di un festival
cinematografico a Reggio Calabria che si chiamava XX Secolo in onore
della prossima fine del '900. Tra i molti ospiti di quella bellissima
e per me indimenticabile kermesse c'erano Tim Roth e Vinicio
Capossela, che all'epoca non masticava una parola di inglese così come l'attore non ne capiva una di italiano. Eppure ricordo una cena in cui loro due
comunicavano benissimo e dove ho cercato di intromettermi il meno
possibile, se non su richiesta, affascinata nel vedere come due
uomini di talento riuscissero a farsi capire senza, in effetti,
capirsi. Erano due personaggi così particolari che vederli insieme
era giù uno spettacolo. Al festival poi Capossela si esibì con la
gitana Kocani Orkestar, in un'esplosione di musiche balcaniche che
mandò in ebollizione il pubblico.
Dopo tanti (troppi) anni,
il 21 dicembre sono riuscita a riascoltare dal vivo questo
chansonnier et musicien extraordinaire in uno spettacolare concerto al
Teatro dell'Opera di Roma. Mi erano sempre sfuggite, per un motivo o
per l'altro, le sue esibizioni, spesso eventi unici o in date che non
mi trovavano mai libera la sera in questione. Avevo ascoltato e amato
molto alcune canzoni ma non mi ci ero mai dedicata con l'impegno che
meritano.
Ieri finalmente ho
rimediato a questa mancanza e ne sono stata immensamente felice. Sul
palco lui con la sua naturale estensione, il pianoforte, alcuni suoi
collaboratori storici (tra cui il mitico Vincenzo Vasi capace di
trarre dal suo theramin voci umane e ultraterrene) e l'arrangiamento
e accompagnamento dell'orchestra d'archi Maderna diretta dal Maestro
Stefano Nanni. Ad assistere a questo evento che festeggia i suoi 25
anni di carriera e che si chiama, appunto, Qu'art de siècle, o Fantasmagorie, arrivato in Italia dopo un tour europeo, c'erano almeno 1600 persone,
ovvero il teatro strapieno in ogni ordine di posti da un pubblico
eterogeneo, di varie generazioni, preparato, appassionato ed
entusiasta (quello dei palchi a volte anche troppo).
Alla fine della serata ho
pensato che avevo assistito a uno spettacolo che valeva almeno il
doppio di quanto avevo pagato: 3 ore di storie, viaggi, emozioni,
canzoni ed elegie, bestiari e caravanserragli, profeti, balene e
marinai, tra poesia e letteratura, mito greco e cinema contemporaneo,
con una profondità e un'intensità che hanno rapito tutti i
presenti. Il bis è durato quasi un'ora e ha presentato anche due
inedite Canzoni della Cupa, che attingono al repertorio di Matteo
Salvatori e hanno al centro mostri tipici delle zone pugliesi, come
lupi e porci mannari che hanno ululato e grugnito alla luna dopo aver ceduto ai loro istinti bestiali e carnali. C'è
stato spazio e l'occasione giusta anche per festeggiare i Saturnali (16/23 dicembre), condotti con la maschera del Minotauro, con l'accompagnamento di campanacci ed eseguito con una selvaggia
e dionisiaca energia, dove a bruciare invece di Troia era giustamente Roma. Ho pensato a quanto quest'uomo, questo artista,
sia cresciuto nei 16 anni da quando lo avevo ascoltato per la prima
volta.
Con ogni cambio di
copricapo è stato (è) capace di attraversare, portandoci con sé, paesi e
storie del nostro mondo, attingendo a suggestioni suscitate da film
come Toro Scatenato, C'era una volta in America e Birdman. In tre ore
ha cantato boleri nelle vesti di un picaro, è stato Dickens e il
capitano Achab in lotta contro il mostro Moby Dick, Giona nella
pancia del Leviatano, il cantastorie di paese con l'organetto di
Barberia; con la voce struggente dei violini, una piccola pianola, la chitarra e il pianoforte, ora
sussurrando ora gridando, ha raccontato storie, celebrato l'amore tra due pianoforti
abbandonati in un magazzino di Lubecca dopo la guerra, evocato lo
sfarzo pacchiano dei nostri Marajà, il difficile ritorno di Ulisse,
il viaggio nella conoscenza di Dante con la sua Commedia,
ha dato voce alla civettuola sirena Pryntil dello Scandalo negli Abissi di Céline e ci ha benedetto con la
splendida preghiera laica Ovunque proteggici.
Con la sua arte Vinicio Capossela
ha tenuto avvinte come un prestigiatore le anime di persone di ogni età, riunite in un teatro per uno splendido rito
pagano e ne ha avuto in cambio un amore appassionato e sincero.
Oggi, leggendo cose in
Internet su di lui, mi sono anche imbattuta in due articoli i cui autori – uno in specie – sfoggiavano una bella e spiritosa prosa
per demolirne la figura e le capacità, cercando di dimostrare che si
tratta di una moda, un falso, un ubriacone neanche originale.
A questi signori vorrei dire che tutto - anche l'esser bravi giornalisti - si può fingere, tranne la cultura e la sensibilità.
L'invidia per un grande talento è perfino più triste di quella
meschina tra vicini di pianerottolo. Ma del resto siamo in Italia,
dove un artista come Vinicio Capossela, apprezzato in tutta Europa,
rischiamo di non meritarcelo.
La Musica,
quella che ha parole e armonie che vengono da molto lontano, ci chiede solo
di aprire l'anima e ascoltare, in uno scambio che arricchisce chi la
riceve, come la bella letteratura e il buon cinema (o viceversa).
E dunque Buone Feste ai miei pochi e fedeli lettori, con l'augurio di avere sempre voglia di
viaggiare in territori sconosciuti e di seguire la voce delle sirene a testa alta e con passo deciso, senza paura di finire nella pancia del mostro.
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