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lunedì 10 dicembre 2007

Crash course per aspiranti scrittori

di Daniela Catelli

Cari 4 lettori, volevo sfatare una leggenda metropolitana che circola su chi in Italia pubblica uno o più libri. Molti pensano che il fortunato venga lautamente retribuito e supportato, ma non sempre è così. Anzi. Per prima cosa, se proprio vi solletica l’idea di scrivere un libro, provate a scrivere un romanzo, dei racconti, dei libri per bambini, poesie, qualunque cosa tranne saggi sul cinema. Oppure fatelo per vostra personale soddisfazione, per aggiungere titoli al vostro curriculum accademico, per fare dispetto alla prof di italiano che vi dava sempre 4. E’ ovvio che se pubblicate per Mondadori, Einaudi, Rizzoli ecc. quanto sotto non vale, ma i libri di cinema in genere li pubblicano i piccoli e medi editori.

Funziona così: a volte un gentile signore che è a capo di una casa editrice, o un amico scrittore introdotto nell’ambiente, vi stuzzica l’ego (tutti ne hanno uno, anche se dormiente) proponendovi di scrivere un libro su qualcosa che a voi piace molto, oppure di aggiornarne uno che avete fortunosamente e fortuitamente pubblicato anni addietro.

Prima avvertenza: se avete un sacco di tempo libero e mamma e papà vi mantengono – se siete dei bamboccioni, in poche parole - dite senz’altro di sì. Se invece di tempo ne avete poco e per sopravvivere avete un lavoro, anche piuttosto impegnativo, pensateci bene prima di accettare. Comunque diciamo che il libro si fa. In tempi che sono sempre – o lo diventano – strettissimi e dunque sono fonte di stress, nervosismo e notti insonni (per scrivere, of course, visto che di giorno lavorate).

Come che sia finite il libro, che a questo punto non è più nelle vostre mani, e che arriva in libreria. Se l’editore non è uno di quelli sopra citati, la grande distribuzione non se lo fila neanche di pezza, dunque magari avreste un pubblico potenzialmente vasto di lettori che il libro non lo troveranno mai, e preferiranno comprare quello che vedono esposto in bella vista (Mondadori, Einaudi, Rizzoli ecc). Ah, e naturalmente dovrete farvi da soli la promozione del libro, sempre sperando che si trovi, perché l’editore non ha il tempo, i mezzi (e forse neanche la voglia) di farlo.

E quanto ai soldi… funziona così. Sul contratto c’è scritto che avete diritto a un anticipo sulle vendite: ai bei tempi della lira tale importo variava tra le 800.000 lire e un milione (oppure niente).

Oggi non so quanto diano per uno nuovo, ma per rimettere mano a un libro già esistente ma di fatto assai ampliato la cifra – è la mia esperienza - è di 300 euro. Lordi, sempre lordi, fortissimamente lordi: dunque detraetene il 20 per cento. Non sempre avere un contratto firmato è garanzia di avere questo anticipo sulle vendite, visto che nessuno sano di mente si metterebbe a far causa nel caso l’editore decidesse di non onorare la sua parola (del resto anche Berlusconi ha firmato un contratto, una volta, istituendo un pericoloso precedente). E questo è quanto, perché le vendite non supereranno mai la magica e nei secoli invalicata soglia dell’anticipo. Vuoi perché gli editori falliscono, cambiano di proprietà, qualsiasi cosa, ma dei rendiconti annuali non saprete mai niente. Poi dopo qualche anno potrete trovare il vostro libro da qualche Remainders, e magari il vostro ego sarà soddisfatto nel possedere l’unica copia superstite nella vostra biblioteca, sopravvissuta a quelle 10 che vi spettano e che avete dilapidato tra parenti, amici, e possibili conquiste femminili o maschili (un altro consiglio: non funziona mai, chi scrive libri non è sexy).

Senza contare le copie date a giornalisti o sedicenti tali che non pubblicheranno mai una riga sul vostro libro. Ok, questo non è il mio caso, recensioni ne ho avute molte, ma c’è sempre chi promette e non mantiene e voi – ricordatelo – avete anche un vero lavoro da seguire tutti i giorni e non potete passare il tempo a rincorrere chi si è acchiappato la sua copia gratis senza sprecarci neanche una frase.

Insomma, a conti fatti il mio consiglio è questo: leggete tutti i libri gialli, noir, mysteries, su serial killer, su anatomopatologi forensi, su miracolosi ufficiali dei Ris, su poliziotti siciliani, americani, detective e compagnia cantante su cui riuscite a mettere le mani, vedete sceneggiati e film di genere, memorizzate situazioni frasi e luoghi comuni e poi rigurgitate tutto così come vi viene sulle pagine: se vi va bene, potreste diventare il prossimo Giorgio Faletti. Oppure scrivete un libro pornografico raccontando le vostre mille ed estreme esperienze sessuali (non quelle vere eh, quelle non interessano a NESSUNO). Ma toglietevi dalla testa l’idea che uno possa guadagnare con un saggio, sul cinema o su altro. Insomma, di Bruno Vespa ce n’è uno (per fortuna) tutti gli altri son nessuno.


4 commenti:

Anonimo ha detto...

sì è vero, scrivendo saggi non ci si arricchisce certo. non solo di cinema, ma su qualunque argomento che vada al di là della narrativa di facile consumo. mancano i lettori e quei pochi che pure ci sarebbero non vengono certo invogliati dai prezzi che le case editrici propongono (e che non vanno certo nelle tasche degli autori). ma non vengono pagati nemmeno i professori universitari - o comunque molto poco rispetto all'importanza e alla responsabilità dell'incarico - e nemmeno i giovani che tentano di affacciarsi al mondo del giornalismo e che vengono costantemente sfruttati da chi non vuole "cacciare una lira" nè firmare ricevute per questo sempre più mitico patentino da pubblicista. insomma, ben lungi dall'essere bamboccioni - quanto dovremmo avercela con la generazione che ci ha lasciato in eredità una società simile? - le dico che questo piangersi addosso un po' morettiano risulta fastidioso agli occhi di chi un lavoro nel settore nemmeno ce l'ha, per quanto con fatica e impegno tenti e speri. non dia tutto così per scontato...

subbuteoblog ha detto...

... e si figuri che Daniela - da giovanissima precaria quale è - scrive senza ne patente ne patentino.

E non è che pianga ... le girano solo :o)

Grazie per il commento e in bocca al lupo per il suo lavoro.

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio per il tuo bell'intervento, Fabiana. In realtà il pezzo era ironico, e mi è stato dettato proprio da una conversazione avuta ieri col mio ultimo editore. A 49 anni sono più che precaria, da 9 anni lavoro con contratto a progetto, sono sola a mantenere me e mia figlia, e ce la faccio a stento. Ma sono contenta così, non mi piango addosso, non l'ho mai fatto, non è nel mio carattere, è solo che, come dice il mio compagno, sono toscana e quando mi girano mi girano... Anche il bamboccione era ironico: io da casa dei miei sono uscita a 31 anni! Spero che tutti quelli che ne hanno voglia e capacità continuino a scrivere, per quel che mi riguarda, ho già dsto, tutto qui. Ciao Daniela

Luca Zacchi ha detto...

Tutto tragicamente vero...