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lunedì 2 novembre 2020

 IL MIO PROIETTI

 

Stamani mi sono svegliata con una di quelle notizie che ti stendono: Gigi Proietti ci ha lasciato il giorno del suo 80esimo compleanno, quando tutti ci preparavamo a fargli gli auguri e a innalzare peana per la lieta ricorrenza. Ci ha fatto un ultimo, beffardo scherzo, sottraendosi ai festeggiamenti e andando via alla chetichella, dopo aver raccolto gli ultimi applausi. Proprio ieri, a Lucca, avevo sfogliato in libreria sorridendo il suo Decamerino. Non per il libro in sé, anche se divertente, ma perché – e sicuramente questo valeva per tutti - quando pensavi a Proietti, quando all'improvviso ti venivano in mente il suo viso, la sua voce e il suo sorriso, senza nemmeno accorgertene cominciavi a sorridere, e ti si apriva davanti agli occhi una cornucopia di ricordi, tutti belli e divertenti. Mentre rientravo a Roma, sul treno che mi portava a Firenze, due signore perfino più grandi di me ne parlavano. Con dolore. “Lo adoravo” ha detto una. Ed esprimevano stupore per questo addio così improvviso e così ingiusto. Poi, nel treno semivuoto che mi riportava nella Roma amata e odiata che è ormai casa mia, pensavo che stavo rientrando in una città più vuota e più triste: anche il cielo sembrava corrucciato e spento e perfino il sole, che qua splende anche quando altrove diluvia, si è rifiutato di brillare. L'impressione era che anche loro fossero un po' arrabbiati con lui, che per la prima volta ha deciso di farci piangere.

Scelgo di scriverne sul mio blog perché voglio raccontare appunto “il mio” Proietti, perché ognuno ha il suo. Quando un artista è così grande ed eclettico, ogni generazione lo ama per qualcosa di diverso. Ho letto in rete omaggi di maniera e altri commoventi (il più bello e toccante quello di Marco Damilano sull'Espresso), un profluvio di parole nate da sentimenti sinceri ed aride elencazioni scritte per dovere di cronaca, in cui il cronista non ha avuto difficoltà a pescare ricordi, documenti e testimonianze, perché Proietti non era solo un genio multiforme ma era anche generoso, si dava allo stremo, negli spettacoli e nelle interviste, non si concedeva mai ai salotti ma non perdeva occasione di illuminarci la mente con le sue riflessioni sempre dritte al punto, in questo vero intellettuale

 


 

Il mio incontro con Gigi Proietti (che tenerezza dolce in quel diminutivo, come se appartenesse davvero a tutti, ci fosse amico, fratello, parente) avvenne quando avevo 13 anni, in televisione, nella Canzonissima del 1971, quella della mitica sigla "Chissà se va" cantata dalla Carrà, e con l'indimenticabile Corrado (e Noschese). Nella stessa puntata, pensate un po', c'erano il leggendario Jacques Tati e Modugno che cantava “La lontananza”. Avevo 13 anni e mi colpì moltissimo questo giovanotto barbuto che con quell'altro “mostro” di Renato Rascel si scatenava in un numero coi coperchi, tratto da “Alleluja brava gente”. Anzi, ora che ci penso meglio, forse lo avevo già visto prima, rendendomene conto però dopo, ne Il circolo Pickwick di quell'altro fantastico personaggio che era Ugo Gregoretti, dove interpretava il truffatore Jingle. Poi ci fu il triplo ruolo di Pattume, Colombino e La morte in Brancaleone alle crociate di Mario Monicelli, col suo grande amico Vittorio Gassman, con cui avrebbe lavorato di nuovo in La Tosca, del 1973, improvvisando poi con lui nel ruolo del fratello una memorabile litigata nel 1978, in Un matrimonio di Robert Altman.

Nel 1976 mi innamorai del Casanova di Federico Fellini, dove la sua splendida voce – che nello stesso anno avrei sentito gridare “Adrianaaaaa” in Rocky - doppiava Donald Sutherland, nobilitandone la performance. Nel 1978, finito il liceo a Lucca, seguii un primo fidanzato a Roma, dove iniziai a frequentare l'università. Non riuscìì purtroppo a vedere A me gli occhi please (recuperato in seguito) ma a lui – e gliene sono grata – grande amante del teatro, devo la visione di una stagione indimenticabile della migliore prosa italiana sperimentale e non, dal divertente e spettacolare S.A.D.E. ovvero il libertinaggio e decadenza del complesso bandistico della gendarmeria salentina: spettacolo in due aberrazioni al teatro Tenda con Carmelo Bene (un altro suo sodale) e Cosimo Cinieri, e quella meraviglia di Molly cara con Piera degli Esposti (in un teatro off con le panche di legno dove con grande emozione mi trovai seduta accanto alla mia cotta celebre del momento, Pino Micol). Con quel fidanzato andai anche a vedere al Brancaccio (che poi Gigi avrebbe diretto), La commedia di Gaetanaccio di Luigi Magni, con Luisa De Santis e Daria Nicolodi, dove lui era un personaggio molto romano, un burattinaio morto di fame in seguito a un editto che sembra oggi profetico, che diceva: “Vengono soppresse tutte quelle attività culturali le quali che, quando va bene, non servono a gnente”. Canzoni come “Patisce er core mio” e “Tango della morte” le so ancora a memoria, visto che comprai subito la musicassetta delle canzoni, tutte bellissime, innamorata della voce di Proietti. 

 


 E dopo Bordella, il cult Febbre da cavallo (amato da tutti ma soprattutto dai romani) e Casotto, dove recitò con una giovanissima Jodie Foster, per la tv fu Fregoli, in uno sceneggiato dove ebbe modo di rifulgere con la sua abilità trasformistica e la sua straordinaria mimica comica (in famiglia divenne mitica la battuta “e ora... il number del palloncino”!). Come poi non restare ammirati e scompisciarsi dal ridere di fronte al meraviglioso e accorato grammelot napoletano inventato dal suo accaloratissimo Curtatone in FF.SS., di un suo altro grande amico e compagno di marachelle, Renzo Arbore, nei cui programmi fu spesso ospite (e viceversa). Vedere questi due ironici, intelligenti, irriverenti ed eterni giovanotti ricordare insieme le esperienze dei night con l'inglese maccheronico per gli americani, il contrabbasso finto e le canzoni col doppio senso è una delle cose più belle e divertenti che si siano mai viste in tv.

Per quanto lo sapessimo tutti legatissimo alla compagna Sagitta, con cui è stato unito per tutta la vita, non potevamo noi ragazze non sognare di incontrare un compsgno così affascinante e simpatico. Nel 1981 mi innamorai di un uomo che aveva 10 anni più di me e che a prima vista avevo giudicato un deficiente: a conquistarmi fu il suo irresistibile sorriso alla Proietti. Purtroppo per me, le somiglianze, fisiche e caratteriali, finivano lì. Nel 1992, dopo aver visto Aladdin in originale con la voce di Robin Williams, pensai che nessuno sarebbe stato in grado di farne una versione italiana, se non lui, che fu all'altezza dell'originale grazie all'incredibile velocità del suo eloquio, capace di star dietro ai funambolismi vocali di un attore leggendario. E a pensarci, per fortuna senza l'autolesionismo, le droghe e gli stravizi, Robin e Gigi si somigliavano molto, per generosità, talento e felicità che hanno regalato al pubblico. 

 


Pur non avendo seguito la sua carriera televisiva più recente e nazional popolare, che gli ha conquistato un nuovo pubblico, e restando a volte un po' dispiaciuta nel vederlo sprecarsi in certi film, l'ho molto amato ne Il premio di Alessandro Gassmann, dove interpretava suo padre, un eccentrico scrittore premiato col Nobel. In quell'unica occasione sperai di poterlo finalmente intervistare, sia pure per i soliti maledetti 5 minuti dei junkets televisivi. Poco prima del mio turno, però, il grande Gigi, non ricordo se perché stanco o poco in forma, se ne andò, e dunque questo sogno non l'ho mai potuto realizzare. Vedendo il suo Cavalli di battaglia mi sono meravigliata ancora della sua inesauribile energia, della sua memoria, del suo essere ancora e sempre mattatore come l'amico Gassman, capace di portare avanti all'infinito una storia, uno sketch (sono morta dal ridere con quello della saùna), di cantare, intrattenere, come se invece di 80 anni o quasi ne avesse ancora 30. Ma il cuore era stanco, e nessuno lo sapeva. Forse il dispiacere di dover star fermo, i mille progetti arrestati da questo immondo virus hanno gravato troppo sul grande cuore di quest'artista meraviglioso, che ha riportato in vita Petrolini e ha saputo recitare Shakespeare e Pirandello, ma anche raccontare le barzellette, che ci ha illuminato la via con la sua saggezza, la sua intelligenza e la sua dolcezza. Come ha scritto qualcuno, sono felice di essere vissuta nella stessa epoca di quest'uomo buono e giusto, a cui tutti noi volevamo un gran bene, qualunque sia stato il Proietti di ognuno di noi. Oggi, in lacrime, non possiamo che dire a colui che è stato uno dei nostri parenti più cari: grazie di essere esistito, Gigi, e di averci dato tanta gioia.

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