IL MIO AMICO JOSE' DE ARCANGELO
Eccomi qua. Oggi è il 5
settembre, giorno del mio compleanno. A una certa età si tende a
smettere di festeggiare gli anni e a celebrare la sopravvivenza: ci
pensano gli amici (veri) coi loro messaggi a ricordarti quanto sei
stata fortunata ad essere arrivata a questa meta (62, lo posso anche dire), pur con tutti i
problemi che rendono la vita complicata, faticosa eppure
terribilmente veloce. È ovvio che tra i chili di troppo, le rughe e
i sogni di gloria ormai dietro le spalle una non si riconosca più, ma
per fortuna ci sono le amiche (nel mio caso) di vecchia e vecchissima
data a sapere chi sei, a volerti bene per come sei e a ricordarti
ancora com'eri. Col tempo la leggerezza è diminuita ed è sempre più
difficile ridere del presente e di se stessi, come un tempo veniva
naturale fare. Oggi poi mi sento ancora meno incline del solito a
celebrare questa ricorrenza. Un anno fa – e io non lo sapevo, lo
avrei saputo solo il giorno dopo – il mio amico e collega José de
Arcangelo - che tra l'altro seguiva e commentava con arguzia questo mio discontinuo blog –
mi ha fatto lo scherzo atroce di andarsene all'improvviso, quando
solo pochi giorni prima, io da poco tornata da una felice settimana a Praga, ci
eravamo sentiti per telefono e dati appuntamento, al solito, alla
ripresa delle attività stampa di lì a pochi giorni.
Quindi adesso il mio compleanno è legato indissolubilmente al giorno della scomparsa di una delle poche persone nel mio ambiente di lavoro a cui abbia davvero voluto bene e che me ne abbia voluto.
Ci siamo conosciuti, credo, a qualche festival, nei primi anni Novanta: non ricordo se Torino, Riminicinema o Cattolica, anche se li abbiamo fatti tutti insieme divertendoci un mondo. Probabile che ci abbia fatto incontrare nel 1990 Giovanna Arrighi, anche lei scomparsa prematuramente, la prima persona che ho conosciuto nell'ambiente quando mi sono trasferita a Roma. José era un amico vero. Nel 1996 Marina Misiti conoscendo la nostra passione per il genere ci chiese di scrivere insieme un libro sull'horror per Theoria, proprio quel due volte infelice Ciak si trema che dà il titolo a questo blog. Poi accadde qualcosa che non mi sembra giusto raccontare e io fui costretta a scrivere in dieci giorni anche la parte che sarebbe spettata a lui. Un'altra persona si sarebbe offesa, mi avrebbe messo il muso, ci sarebbe rimasta male. Lui, dopo un comprensibile dispiacere iniziale, no. Perché l'amicizia per lui era più forte di qualunque cosa. Abbiamo condiviso tanto, momenti belli e brutti e fisicamente pesanti come duei traslochi, il mio e il suo, i festival quando erano belli e goderecci, e ho tante allegre foto in testimonianza di queste esperienze.
Quindi adesso il mio compleanno è legato indissolubilmente al giorno della scomparsa di una delle poche persone nel mio ambiente di lavoro a cui abbia davvero voluto bene e che me ne abbia voluto.
Ci siamo conosciuti, credo, a qualche festival, nei primi anni Novanta: non ricordo se Torino, Riminicinema o Cattolica, anche se li abbiamo fatti tutti insieme divertendoci un mondo. Probabile che ci abbia fatto incontrare nel 1990 Giovanna Arrighi, anche lei scomparsa prematuramente, la prima persona che ho conosciuto nell'ambiente quando mi sono trasferita a Roma. José era un amico vero. Nel 1996 Marina Misiti conoscendo la nostra passione per il genere ci chiese di scrivere insieme un libro sull'horror per Theoria, proprio quel due volte infelice Ciak si trema che dà il titolo a questo blog. Poi accadde qualcosa che non mi sembra giusto raccontare e io fui costretta a scrivere in dieci giorni anche la parte che sarebbe spettata a lui. Un'altra persona si sarebbe offesa, mi avrebbe messo il muso, ci sarebbe rimasta male. Lui, dopo un comprensibile dispiacere iniziale, no. Perché l'amicizia per lui era più forte di qualunque cosa. Abbiamo condiviso tanto, momenti belli e brutti e fisicamente pesanti come duei traslochi, il mio e il suo, i festival quando erano belli e goderecci, e ho tante allegre foto in testimonianza di queste esperienze.
Ricordo anche le feste insieme,
a base di empanadas, balli e carni argentine e le ore passate a
discutere del vecchio cinema hollywoodiano, ma anche del nuovo, su
cui spesso ci trovavamo in perfetta accordo. Lui era un'enciclopedia
vivente, non aveva bisogno di internet: sul cinema classico sapeva
tutto, attori, attrici, storia, titoli. L'agosto scorso, il 12,
eravamo a cena spensierati a casa di un amico, una casa che da allora
ha lasciato, nei pressi di piazza Vittorio: in terrazza, dopo cena,
a fumare, ridere, raccontarci e star bene, per una volta felici di essere a Roma
(lui che per motivi economici si era dovuto trasferire a Cerveteri,
con enormi problemi di stress per gli spostamenti). Poi era venuto
una sera a San Lorenzo, per un aperitivo all'Apartment e poi da me,
dove avevamo sfogliato insieme una rivista hollywoodiana degli anni
Cinquanta che avevo trovato qua al mercatino.
Con lui potevo sfogarmi
anche delle ingiustizie e frustrazioni sul lavoro: ne aveva subite
talmente tante che bastavano due parole per comprenderci.
Ma per lo più si rideva e si scherzava, e proprio quando, dopo due
anni terribili senza un euro per campare, grazie alla pensione finalmente ottenuta era
tornato a viaggiare, a visitare i parenti argentini
regolarmente e a comprarsi quello che gli serviva, nonché a pagare
il mutuo per la casa che aveva con fatica acquistato, l'ultima beffa.
Sono rimasta male per non
averlo saputo prima e non esserci stata, per non averlo sentito
un'ultima volta al telefono, e peggio ancora per il dopo, con la
famiglia lontana e assente e il tanto tempo passato prima di potergli
dare sepoltura. Da allora andare alle proiezioni – prima ancora
dell'arrivo di questa peste del covid, che almeno lui si è
risparmiato – è diventato anche meno piacevole di quanto già
non lo fosse prima: sapere che per quanto a lungo gli avrei potuto tenere il
posto, non sarebbe mai arrivato trafelato ad occuparlo mi fa ancora
male. Sembra stupido ma mi ha parzialmente consolato sapere che
l'ultimo film che ha visto e adorato come me è stato C'era una
volta... a Hollywood di Tarantino. Sento ancora la sua voce pacata
con quell'inconfondibile accento, la sua risata, le sue battute a
volte surreali a cui era il primo a ridere, e so che José de
Arcangelo dalla vita, dai colleghi e dall'ambiente non ha avuto il
giusto riconoscimento per la sua bontà e la sua incapacità a farsi
valere nel mondo stronzo, ignorante e prepotente che qualcuno
(“grazie” Berlusconi) ha creato 40 anni fa e in cui entrambi ci sentivamo a disagio.
Adesso è passato un anno
e ancora non mi par vero e voglio ricordarlo proprio oggi, quando non
riceverò più i suoi auguri, sorridente come in questa foto di un
finto inverno con neve a Cinecittà che gli scattai durante una
visita su un set nel 2013. Sono certa che dovunque si trovi adesso sta ancora
sorridendo e si vede un sacco di bei film con attrici meravigliose,
di quelle che oggi non nascono più. Ciao caro José e grazie per esser stato un amico disinteressato e sincero!
P.S. Ho ancora la rosa di Gerico che mi hai regalato, unico fiore capace di sopravvivere a tutto e anche al mio pollice nero! A volte si chiude ma con l'acqua si riapre e vederla mi fa pensare a te.
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