E QUASI TUTTO IL RESTO
Diario di una serial dipendente
Okay, lo ammetto: a volte mi sembra di
essere David Bowie in L'uomo che cadde sulla terra. In fondo è
quello il mio sogno: poter guardare contemporaneamente tutto quello
che di interessante succede nel mondo e assimilarne gli input come un
flusso continuo di stimoli e informazioni. Nel mio piccolo, dunque,
leggo un paio di romanzi e saggi nello stesso periodo e seguo troppe
serie, cercando di compensare con il divertimento e la gioia che
alcune di loro mi danno, l'assoluta noia – salvo rare eccezioni –
del cinema di genere dei nostri anni.
Perché uno si innamora di una serie?
Non so gli altri, ma nel mio caso a volte vengo incuriosita dal
pilot, o dagli attori, o dall'argomento... altre volte resisto un
paio di stagioni prima di mollare, vuoi perché la trama diventa
troppo implausibile perfino per un'opera di fantasia (vedi Dexter)
o ripetitiva (Californication, Cougar Town) o troppo “a
tesi” (Glee). Oppure la serie fa pochi ascolti e viene
cancellata, come Pushing Daisies che mi piaceva tanto. Poi ci
sono quelle che vedo perché ne sento molto parlare, come A Game
Of Thrones, che non ho ancora capito se mi piace o meno, quelle
rilassanti e interessanti come The Mentalist, e infine i
guilty pleasures (l'ultimo è C'era una volta,
che vedo soprattutto per l'amore che porto a Robert
Carlyle), che sono quelli che posso anche decidere di lasciare
senza rimpianti dall'oggi al domani. Non potrò comunque mai vedere,
per incompatibilità cerebrale, nessuna serie su avvocati, medici,
ospedali, infermieri e spie.
A volte, però, nascono grandi amori.
Ho conosciuto John Noble nel 2003, quando sono andata a
Berlino per i junkets internazionali de Il ritorno del re
di Peter Jackson, in cui lui era il folle re Denethor. 5 minuti di
intervista (per di più in coppia con David Wenham) sono bastati a
far scattare tra noi un'istintiva simpatia. Da allora ci siamo
scritti moltissime email e siamo entrati in confidenza. All'epoca
lui, “vecchio” attore di teatro australiano che non aveva mai
spinto oltre le proprie ambizioni, era frastornato dal primo impatto
con Hollywood. Dopo la partecipazione a un paio di film non eccelsi
nei panni del classico villain e un temporaneo rientro in
patria, è fortunatamente arrivata per lui la grande occasione:
essere scelto per uno dei ruoli protagonisti della nuova serie di
J.J. Abrams, reduce dal successo mondiale di Lost. Solo
perché c'era lui, così, ho iniziato a guardare Fringe, che
inizialmente mi sembrava una copia un po' più estrema e con meno
extraterrestri di X-Files,
con cui condivide anche la casa madre, la Fox. Ma sempre di più, con
mia stessa sorpresa, sono stata catturata da questa serie così
complessa, affascinata dal suo look stiloso, raffinato e innovativo
(l'invenzione dei glifi è a dir poco geniale) e dai suoi personaggi,
tanto profondi e realistici da sembrare veri. Su tutti, ovviamente,
svetta il Walter Bishop
di John Noble,
originale variazione sul tema del mad-doctor:
Walter, che è stato per molti anni chiuso in manicomio, è come un
bambino mai cresciuto. Il sesso non gli interessa ma è appassionato
di droghe allucinogene, trash food e musica, è eccentrico e
smemorato, pieno di idiosincrasie, e sembra a tratti un ex
fricchettone invecchiato, convinto che alla scienza sia permesso
praticamente tutto.
Quando
gli ho detto che concordavo con coloro che dicevano che era stato
“scippato” dell'Emmy, John mi ha risposto: “ormai non ci penso
proprio più. Sarebbe bello, ma non accadrà mai con una serie di
fantascienza”. Il punto, però, è che Fringe
è molto di più di
uno show televisivo che riprende temi e situazioni della fantascienza
classica per reinterpretarli da un punto di vista moderno: in questa
quinta, conclusiva stagione, i nostri eroi lottano contro gli
spietati Osservatori capaci di leggere nel pensiero, robot in forma
umana che hanno conquistato il nostro mondo e lo sfruttano ai propri
fini decretandone la condanna a morte. E gli autori ci ricordano, in
un momento storico in cui la nostra passività rischia di renderci
schiavi consenzienti dello sfruttamento e della tirannia, che
resistere è possibile e ribellarsi è necessario.
Fringe trascende, con
la forza delle migliori metafore, la storia che racconta per
diventare un commento sui tempi in cui viviamo, attraverso un mondo
che ricorda quello dipinto da John Carpenter in Essi
vivono. Non so come i
fantastici autori della serie, J.J. Abrams,
Roberto Orci, Alex
Kurtzman e Akiva
Goldsman, risolveranno il
finale, ma solo l'Arte riesce a farti entrare con tanta passione in
un mondo inventato e a farti affezionare a personaggi di fantasia.
A me dà parecchio fastidio l'abuso che si fa oggi del termine
capolavoro e della parola amore, ma per Fringe
potrei spendere entrambi senza timore di esagerare.
Rientriamo
invece nel campo dell'horror e del puro entertainment, anche se di
ottimo livello, con Grimm,
la serie NBC di David Greenwalt
e Jim Kouf, alla sua
seconda stagione. Questo è uno di quei casi in cui sono stata
contenta di avere continuato a vederla, perché l'inizio, in cui
Nick, un giovane detective della polizia di Portland si accorge di
avere la capacità di vedere i veri volti mostruosi di alcune
creature che si aggirano in incognita nel nostro mondo, mi era parso
a dir poco frettoloso. Okay, la solita storia del ragazzo che scopre
di avere capacità che gli altri non hanno, e in questo caso apprende
di essere discendente dei Grimm, una genealogia di cacciatori di
mostri. Bene, sono stata totalmente smentita dagli autori. Col tempo
cresce il divertimento, la struttura si complica, c'è una sottotrama
molto intrigante che coinvolge il capo della polizia, la fidanzata di
Nick e una misteriosa famiglia reale del mondo delle creature, i
Wesen, e quest'ultime non sono solo quelle dei classici racconti, ma
in parte sono inventate e in parte fanno riferimento al folclore
mondiale (come nel bell'episodio di Halloween di quest'anno, La
Llorona). Gli attori sono
ottimi e adatti al ruolo: David Giuntoli
ha la faccia carina e ingenua del bravo ragazzo, capace di nascondere
un segreto e affrontare anche i suoi lati più oscuri,
Russell Hornsby è Hank, il
partner coinvolto suo malgrado nella missione di Nick, l'affascinante Bitsie
Tullock è la fidanzata Juliet,
vittima di un incantesimo d'amore, il simpaticissimo ed
esuberante Silas Weir Mitchell è
Monroe, il licantropo che dà una mano al Grimm, e il seducente
canadese Sasha Roiz è
il francofono capitano Renard con la sua hidden
agenda. Col passare
degli episodi la serie è diventata anche più splatter e tesa.
Insomma, se ancora non l'avete fatto, datele un'occhiata,
possibilmente – raccomandazione valida per tutto quello di cui
abbiamo parlato finora – in versione originale!
E' invece partita da poco ed è solo al quarto episodio 666 Park Avenue, una serie creata da David Wilcox, produttore e sceneggiatore di Fringe e altri show televisivi, in onda sulla ABC. La storia, in sé non certo originale, riecheggia nell'ambientazione Rosemary's Baby. Jane ed Henry, una bella coppia di giovani provinciali ambiziosi, arrivati nella Grande Mela in cerca di fortuna, trova lavoro e si trasferisce all'interno del Drake, un palazzo di lusso molto simile al Bramford Building del film di Polanski (che a sua volta rimandava al Dakota Building di fronte al quale è stato ucciso John Lennon). Sotto l'ala protettiva di Gavin Doran, il proprietario del complesso, e della moglie Olivia, i due iniziano a fare carriera e a frequentare l'alta società, ma nel palazzo accadono cose terribili e Jane, che tra i suoi compiti ha anche quello di riportare il Drake all'aspetto originale, inizia ad avere delle visioni e a rendersi conto che nel luogo c'è qualcosa di malsano. Al quarto episodio, a parte il piacere di rivedere Vanessa Williams che tanto avevo amato in Ugly Betty, e Terry O'Quinn che per tutti è famoso per Lost ma per me resterà sempre The Stepfather, non è che le emozioni si siano sprecate. Forse il setting è un po' troppo prevedibile, e non c'è dietro tutta l'inventiva e la cultura horror che ha dato vita a American Horror Story (è un confronto impietoso), ma al momento l'impressione è quella di una soap opera gothic e glossy, in cui tutto sommato i personaggi si meritano quello che gli capita. Di brividi di paura per ora neanche l'ombra. Continuerò a vederla, sperando che il diavolo, prima o poi, si manifesti in tutta la sua terrificante potenza.
4 commenti:
Mmh..questo 666 Park Avenue mi pare caruccio, anche se non ho amato Rosemary's baby..Lo proverò!
Essere come Newton credo sia il sogno di tutti i cinefili. Parlo solo delle serie che ho visto: Dexter mi è piaciuto fino al colpo di scena della quarta stagione. A Game Of Thrones non l'ho capito neanche io se mi piace, a tratti mi è sembrato interessante ma anche noioso. O'quinn è stato un grande patrigno malato mentale, purtroppo non è riuscito a fare Scarface altrimenti credo che la sua carriera nel cinema avrebbe preso tutt'altra piega.. è rimasto comunque il mio personaggio preferito di Lost, tranne che nell'ultima evitabile stagione. Fringe non l'ho visto ancora, mi intriga molto..
Dexter è stato un grande telefilm fino appunto, alla quarta stagione (grazie anche a un John Lithgow da brividi). Ho appena finito di vedere la quinta è ho notato che il livello è sceso notevolmente. Amo però troppo i personaggi e gli attori per smettere di seguirlo.
Pushing Daisies era davvero bello e due stagioni troppo poche!
Ho iniziato a seguire Fringe giusto perché ideata da JJ Abrams e devo dire che mi piace molto (non quanto ho adorato Lost, che considero “LA serie”), però mi piace molto! E con la mia “nota” passione per i personaggi strambi, pazzi, stravaganti, come potrei non amare Walter Bishop?
Once Upon a Time: mi piace il modo “nuovo” di affrontare le fiabe (vedi Cappuccetto che scopriamo, essere il lupo), però alcune scene mi hanno lasciato un po’ perplessa (soprattutto le sequenze ambientate nel mondo delle fate o nel Paese delle Meraviglie). Robert Carlyle è davvero il migliore! Infatti, il suo Rumpelstiltskin/Mr. Gold è uno dei miei personaggi preferiti!
Per non parlare dei riferimenti a Dexter è stato un grande telefilm fino appunto, alla quarta stagione (grazie anche a un John Lithgow da brividi). Ho appena finito di vedere la quinta è ho notato che il livello è sceso notevolmente. Amo però troppo i personaggi e gli attori per smettere di seguirlo.
Pushing Daisies era davvero bello e due stagioni troppo poche!
Ho iniziato a seguire Fringe giusto perché ideata da JJ Abrams e devo dire che mi piace molto (non quanto ho adorato Lost, che considero “LA serie”), però mi piace molto! E con la mia “nota” passione per i personaggi strambi, pazzi, stravaganti, come potrei non amare Walter Bishop?
Once Upon a Time: mi piace il modo “nuovo” di affrontare le fiabe (vedi Cappuccetto che scopriamo, essere il lupo), però alcune scene mi hanno lasciato un po’ perplessa (soprattutto le sequenze ambientate nel mondo delle fate o nel Paese delle Meraviglie). Robert Carlyle è davvero il migliore! Infatti, il suo Rumpelstiltskin/Mr. Gold è uno dei miei personaggi preferiti!
Per non parlare dei riferimenti a Lost sparsi qua e la (l’orologio fermo alle 8.15, barrette Apollo come se piovesse ecc.)!
Terry O’Quinn era perfetto nel “Patrigno” e John Locke era uno dei miei personaggi preferiti! L’ho però anche visto sprecare il suo talento in filmacci inguardabili!
Devo ancora iniziare a seguire Game of Thrones, Grimm e American Horror Story. Soprattutto quest’ultimo m’intriga parecchio (ho sentito parlare di “atmosfere lovecraftiane” e non posso perderlo).
Un piccolo consiglio: se non l’hai già fatto prova a seguire “Dead Like Me”! E’ una bella serie composta di due stagioni (+ un tv movie finale davvero brutto), ideata da Bryan Fuller (già creatore di Pushing Daisies).
Mony Black
Grazie a tutti per i commenti e i suggerimenti, fa piacere che ci sia tanta gente appassionata di serie tv. Per Mony: o visto Dead Like Me, non era male infatti, ma alla fine mi aveva un po' stancato. American Horror Story non puoi perderlo, è anche molto divertente, e Grimm dopo un inizio un po' moscio mi ha acchiappato. Sono d'accordo su quanto scrivi su Once Upon a Time, io i buoni li trovo moscetti rispetto ai cattivi. Ahimé, all'epoca ho perso Lost, ma conto di recuperarlo, anche se è parecchio impegnativo. Di Abrams mi ha assai deluso Alcatraz, che proprio non era all'altezza del suo talento. E poi adoro Joss Whedon, ma ormai con The Avengers è passato oltre le serie tv...
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