Holy Shit!
Il ritorno di The Walking Dead
Ebbene sì, lo confesso. Da tempo l'horror al cinema mi annoia, non mi sorprende, non mi fa
più paura. In tv, invece, è tutto un altro paio di maniche. Intanto
perché in America da sempre la tv via cavo (AMC, HBO, FX) è terreno
di libertà e sperimentazione. Poi perché la struttura seriale
permette di approfondire situazioni e personaggi, evitando il
pressapochismo di un film dalla durata standard di 90 minuti.
Ed ecco che, passo dopo passo, inesorabili, i morti viventi, i demoni, i fantasmi – con l'eccezione dei vampiri che per me si fermano a Buffy - si riappropriano con violenza del nostro immaginario.
Ed ecco che, passo dopo passo, inesorabili, i morti viventi, i demoni, i fantasmi – con l'eccezione dei vampiri che per me si fermano a Buffy - si riappropriano con violenza del nostro immaginario.
Non ho letto il comic book
di riferimento e non avevo amato la prima serie di The Walking
Dead. Nonostante i meravigliosi effetti speciali di un genio come
Greg Nicotero e la presenza dietro le quinte di un altro grande come
Frank Darabont, non mi sembrava ci fosse niente di nuovo, lo trovavo
statico e i personaggi non mi erano rimasti particolarmente
simpatici. Come mi sbagliavo! Ho adorato la seconda stagione col suo
impianto western fino allo showdown finale, mi sono commossa nel
rivedere sullo schermo Scott Wilson (Herschel), uno dei più grandi
caratteristi del cinema americano (il delinquente de La lunga
notte dell'ispettore Tibbs e A sangue freddo di Richard
Brooks, il marito tradito e omicida di Myrtle ne Il
Grande Gatsby di Jack Clayton) e ho, finalmente, capito.
Il senso del viaggio dei protagonisti
di TWD sta in quello che siamo diventati: condannati a una
marcia forzata per la sopravvivenza, costretti a convivere con
estranei e a difenderci da gente che vuole strapparci la carne di
dosso, strada facendo perdiamo un giorno dopo l'altro umanità e
identità, e paghiamo a caro prezzo i momenti di pace e di stasi
lacerandoci a vicenda. E' questo orrore di un mondo perduto,
assediato, senza tregua, in cui ogni alba è l'ultima dell'umanità,
quello che gli autori della serie esprimono alla perfezione,
coniugando al futuro il vecchio messaggio romeriano: gli zombi saremo
noi.
La lotta non ha mai fine, diventa un
lavoro a catena di dispensatori di (seconda) morte, tra viscere,
sangue e pus, la disperazione segue alla speranza, le scelte si
rivelano sbagliate, l'amore, la gravidanza e la morte si intrecciano
in un inestricabile abbraccio, personaggi amati ci abbandonano così
come nella vita se ne vanno le persone a noi più care, dietro a ogni
angolo c'è un incontro a sorpresa. In un momento in cui cinema e
letteratura (Manel Loureiro, Max Brooks, David Wellington e quel
mercenario di Seth Grahame-Smith) ridanno nuova linfa al mito, The
Walking Dead si staglia come l'esempio più puro e cristallino di
uno dei pochi sottogeneri dell'horror in grado di dispensare ancora
shock, indurci a riflessioni, tenerci col fiato sospeso. Il finale
del primo episodio della terza stagione, così claustrofobico e
terribile, preannuncia altri grandi momenti in una serie che resterà
nella storia del genere, comunque vada a finire.
2 commenti:
A proposito di TWD. Mi e' piaciuto quello che ho letto. Hai espresso in parole quello che ho provato anch'io e in modo appassionato (e appassionante). Si sente che non scrivi solo 'con la testa'. La chiave di lettura che hai dato a TWD mi ha fatto riflettere. Bello.
Condivido. Io invece ho molto amato la prima stagione mentre la seconda l'ho trovata un po' stagnante nel conflitto tra Rick e Shane, mentre i personaggi secondo me non hanno mostrato una seria evoluzione, a parte Rick, Shane, Glenn e Daryl (finora i migliori)A parte queste critiche piccole la serie la adoro, in quanto amante del genere e poi perchè ho anche letto il fumetto (per cui a livello di trama per sommi capi sto un po' avanti) per cui mi piace vedere le analogie e le devianze scelte dagli autori
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